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Dare Voce al Suono: Mujeres Nel Cinema e le professioniste che ridefiniscono l'industria

Mujeres Nel Cinema dà voce alle professioniste del suono: report su music supervision, gender gap nel music business, doppiaggio e futuro con l'IA.

Da "showrunner musicali" a montatrici del suono, le professioniste dell'audiovisivo raccontano il loro mestiere, la battaglia per l'equità di genere e la sfida dell'intelligenza artificiale. Cronaca dall'evento di "Mujeres Nel Cinema". 

[di Redazione]

L'industria audiovisiva poggia su una colonna portante troppo spesso negletta: il suono. Per illuminare questo universo parallelo, l'associazione Mujeres Nel Cinema, insieme alla Fondazione Roma Lazio Film Commission, ha convocato un incontro presso l'Auditorium Parco della Musica. "Il mondo del suono e le professioniste dell'audiovisivo" ha sondato il territorio della post-produzione sonora e l'urgenza della parità di genere.

Ad inaugurare i lavori è intervenuta Giulia Rosa D'Amico, presidente dell'associazione, celebrando il sesto anniversario di un progetto che da embrione nel 2019 è cresciuto fino a contare più di 10.000 persone iscritte al gruppo. Numeri che hanno generato un'architettura collettiva per "portare la voce delle donne dell'industria, del cinema italiano". La D'Amico ha delineato la missione: restituire visibilità a reparti "di cui non si parla abbastanza, ma che costituiscono colonna fondamentale... il cinema è un lavoro di squadra e per noi ogni titolo di testa e di coda è importante".

Il panel, orchestrato dalla vicepresidente Silvia Leonetti (compositrice e Vice Presidente della associazione) e da Giulia Pagnacco (sceneggiatrice e membro del direttivo), ha convocato quattro voci che stanno ridisegnando il paesaggio sonoro italiano.

Anna Collabolletta, Music Supervisor di opere come Gomorra e Il Gattopardo, ha decrittato la genealogia del suo processo creativo. "Io la musica la trovo nella storia. La storia è fondamentale. Perché bisogna quasi con arte maieutica tirar fuori la musica più giusta e dare un abito in maniera molto sartoriale al progetto audiovisivo. Un lavoro inaugurato dalla lettura della sceneggiatura e alimentato da conversazioni con il regista fondamentalmente per capire quale è il suo universo musicale che immagina per il progetto". Collabolletta ha poi marcato la distanza tra il suo ruolo, mutuato dall'industria americana, e quello del consulente: "Il Music Supervisor è proprio uno showrunner musicale, è colui che prende in gestione tutto il progetto dall'inizio alla fine... e che si occupa di qualsiasi attività concernente la musica". Di fronte alla lacuna formativa istituzionale, il suo consiglio alle giovani generazioni rimane antico: la gavetta. "Attualmente quello che posso dire, quello che vale di più... è andare nella bottega di qualcuno, lavorare a fianco a qualcuno, perché questo è un lavoro che si impara sul campo".

Francesca Barone, co-fondatrice di equaly ha dispiegato dati inquietanti sulla parità nel music business. Il problema, ha dichiarato, è sistemico: una "cultura patriarcale che prevede esattamente sistematicamente questa esclusione delle donne dalle professioni. I numeri parlano senza ambiguità. Nelle classifiche FIMI 2024 dei 100 album più venduti, le artiste occupano intorno all'11-13%" delle posizioni. Più grave ancora perchè la curva è decisamente in discesa rispetto al 24% del 2012. Nei ruoli tecnici – producer, compositrici – lì si scende ancora di più. c'è un altro pregiudizio che è il fatto che le donne nei lavori tecnici non siano portate". Barone ha ricordato che "le donne fino a veramente pochissimi decenni fa non potevano neanche firmare i pezzi. Per contrastare questa deriva, Equaly lavora a creare consapevolezza, creare rete e ha inaugurato progetti concreti come Bid de Gap", che mette a disposizione sei borse di studio per corsi di produttrice e DJ".

Silvia Moraes, montatrice del suono che annovera collaborazioni con Sorrentino e Martone, ha offerto una genealogia del settore. "Il montaggio è uno dei campi dove le donne sono state accolte prima perché con la pellicola era letteralmente taglia e cuci". Con l'avvento del digitale, osserva con ironia, "il ruolo è diventato più tecnico e ovviamente è più adatto agli uomini". Moraes ha denunciato la frammentazione del comparto: "musica, montaggio e doppiaggio dovrebbero costituire un reparto che lavora insieme e questo ancora non esiste". Sul suo mestiere, ha smascherato il pregiudizio culturale dominante: "Così come abbiamo una società maschilista, abbiamo una società visiva. Tutte le cose che ragioniamo partono dall'immagine. Il suono arriva in modo inconscio". L'equivoco sul suo lavoro è emblematico: "La gente viene da me sempre a dire 'che bella musica', gente che mi conosce da tutta la vita che però non riesce ancora a percepire la differenza fra musica e suono... e quindi succede che la mia risposta è: 'io faccio tutto il suono meno la musica' ottenendo in cambio la replica 'Quindi che cosa fai?'". La sua chiosa suona come un appello: "Inviterei tutti a vedere i film senza suono. Forse solo così potrebbero iniziare a capire quanto il suono sia fondamentale. Parliamo di audiovisivo, non 'visivoaudio', ma nonostante questo l'audio non viene considerato allo stesso livello dell'immagine".

A suggellare il confronto è intervenuta Marzia Dal Fabbro, direttrice di doppiaggio e managing partner di SOUND ART 23. Interrogata sulla natura del doppiaggio, ha rettificato la prospettiva comune: "Il doppiaggio è un processo di traduzione molto complesso... non solo andiamo a tradurre le parole, ma abbiamo un limite tecnico che è il sincronismo labiale, una sfida interpretativa perché dobbiamo anche ricreare le interpretazioni degli attori. L'obiettivo è fare un buon doppiaggio che sia un servizio, evitando quelle traduzioni letterali che hanno generato un linguaggio italiano per me terribile". Sulla minaccia dell'intelligenza artificiale, ha offerto una valutazione calibrata: "Per fare una roba appunto tipo doppiaggio in sync con una parte emotiva siamo lontanissimi... perché le sfumature che può dare la voce umana sono talmente tante e l'IA è ancora molto indietro su questo aspetto". Il rischio è maggiore per documentari e audiodescrizioni. L'IA, conclude, può essere impiegata con intelligenza come strumento per capire se una cosa funziona o non funziona, prima dell'incisione definitiva dell'attore.

L'incontro si è chiuso lasciando al pubblico una consapevolezza accresciuta: il suono non è un accessorio, ma l'anima invisibile del cinema. Un'arte custodita da professioniste che ogni giorno combattono contro stereotipi di genere e un'industria culturalmente ancorata al primato dell'immagine.

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