Kennedy Center: il branding selvaggio dell’era Trump

l Kennedy Center diventa Trump-Kennedy Center. Il board vota all'unanimità, i Dem gridano all'illegalità. Cronaca di un rebranding culturale selvaggio

Washington D.C. ha quel sapore metallico di inevitabilità, specialmente quando la cultura si schianta contro il muro di gomma della politica.

[di Mina Jane]

Immaginate la scena: siamo nel cuore pulsante della capitale, dove il marmo bianco dovrebbe evocare solennità, e invece ci troviamo di fronte a una mutazione genetica dell'architettura istituzionale. Il Kennedy Center, quel bastione sacro inaugurato nel 1971 come monumento vivente a JFK, sta per subire un restyling che farebbe girare la testa a un pubblicitario sotto acidi. Il Consiglio di Amministrazione, in un impeto di sincronia quasi sospetta, ha votato all'unanimità giovedì per ribattezzare l'istituzione con un titolo che occupa più spazio di un'autostrada a sei corsie: "The Donald J. Trump and The John F. Kennedy Memorial Center for the Performing Arts".

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La mossa arriva con la sottigliezza di un martello pneumatico in una biblioteca. Karoline Leavitt, portavoce della Casa Bianca, ha esultato su X annunciando che il consiglio ha appena approvato la nascita del "Trump-Kennedy Center". C'è una logica perversa e affascinante in tutto questo: i membri del consiglio che hanno votato con tale entusiasmo sono gli stessi nominati dal Presidente Trump a febbraio, subito dopo che lui stesso si era autoproclamato presidente, licenziando i dissidenti e guardando gli altri rassegnare le dimissioni. È il tipo di efficienza corporativa che si vede solo quando il capo controlla sia il libro paga che la scorta di sicurezza.

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Roma Daravi, vicepresidente delle relazioni pubbliche del centro, ha diramato una dichiarazione che merita di essere incorniciata per i posteri. Secondo la versione ufficiale, il voto unanime riconosce che l'attuale Presidente "ha salvato l'istituzione dalla rovina finanziaria e dalla distruzione fisica". Il nuovo nome rifletterebbe un inequivocabile sostegno bipartisan per il centro culturale d'America. Leavitt ha rincarato la dose con un surrealismo degno di Dalì: "Congratulazioni al Presidente Donald J. Trump e, parimenti, congratulazioni al Presidente Kennedy, perché questa sarà una squadra davvero grande per molto tempo nel futuro!". Kennedy e Trump, insieme, una "squadra". La mente vacilla al solo pensiero.

Tuttavia, l'atmosfera nella stanza dei bottoni non era tutta champagne e strette di mano. I senatori democratici, inclusi Chuck Schumer e Hakeem Jeffries, urlano all'illegalità. La legge federale del 1964 stabilisce il Centro come memoriale a Kennedy e proibisce il cambio di nome senza l'azione del Congresso. In un dettaglio che sembra uscito da una commedia nera, durante la riunione del consiglio un membro del Congresso è stato letteralmente mutato mentre cercava di parlare. "Questo intero processo mostra la corruzione che permea l'intera Amministrazione Trump", tuonano i senatori nella loro dichiarazione, promettendo di ritenere l'amministrazione responsabile.

Trump, d'altronde, ha sempre avuto il dente avvelenato per la programmazione "woke" del centro, preferendo di gran lunga l'energia grezza di Sylvester Stallone e dei Kiss, che ha contribuito a onorare lo scorso gennaio. La cultura è un campo di battaglia, e qualcuno ha appena parcheggiato un carro armato dorato sul prato del Kennedy Center.

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