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La Voce come Copyright: Nell'era dei deepfake, chi possiede la nostra identità digitale?

La clonazione vocale AI (Caine, McConaughey) crea un mercato. Ma la nostra identità è copyright o privacy? Un'analisi filosofica.

L'accordo di McConaughey e Caine crea un mercato per il "sé" digitale, ma solleva una domanda fondamentale: la nostra voce è proprietà creativa o dato biometrico?

[di Massimo Righetti]

Donna  - dati biometrici

Per millenni, la voce è stata l'impronta intangibile del sé. Veicolo del pensiero, marcatore dell'emozione, testimonianza sonora della nostra singolarità biologica. Oggi, quella stessa voce può essere catturata in pochi secondi, digitalizzata, replicata e forzata a pronunciare parole che non abbiamo mai concepito.

Ciò che fino a ieri rimaneva confinato ai laboratori di intelligenza artificiale è diventato, questa settimana, un fatto sociale ed economico. La notizia pubblicata giovedì scorso sul nostro magazine segna una svolta: Matthew McConaughey e Michael Caine hanno stipulato accordi formali per la clonazione delle loro voci. Si passa così dalla mera possibilità tecnica alla sua implicazione strutturale, la creazione di un mercato legale dell'identità. McConaughey userà la tecnologia per narrare contenuti in lingue che non padroneggia, estendendo la propria influenza oltre i confini della biologia. Caine, a novantadue anni, la presenta come celebrazione dell'umanità e amplificazione dei narratori futuri.

LEGGI L'ARTICOLO: Matthew McConaughey e Michael Caine clonano le loro voci: Hollywood sceglie l'immortalità digitale

Motivazioni apparentemente benevole. Eppure sono l'avanguardia di un processo di normalizzazione. Stabiliscono il precedente legale e culturale per la mercificazione del sé, trasformando un attributo umano fondamentale in asset digitale, un bene che può essere concesso in licenza, ereditato e, presumibilmente, venduto. Assistiamo alla nascita della performance post-mortem come servizio commerciale. È l'estensione ultima della logica di mercato: dopo aver capitalizzato il lavoro e i dati, si capitalizza l'essenza.

Ma l'infrastruttura tecnologica costruita per commercializzare l'identità di Matthew McConaughey è la stessa che potrebbe annientare quella di chiunque altro. Lo strumento che permette a Michael Caine di parlare in eterno è quello che consentirebbe a un truffatore di simulare la voce di un nostro caro in una disperata richiesta di aiuto.

Ciò che rende questa crisi socialmente ingestibile non è solo l'esistenza del falso, ma la nostra cecità percettiva di fronte ad esso. Un recente sondaggio sulla musica ha rivelato un dato inquietante: il 97% dei partecipanti non è riuscito a distinguere i brani generati dall'AI da quelli composti dall'uomo.

Questo dato potrebbe segnare un crollo epistemologico. La fiducia, il lubrificante invisibile di ogni transazione sociale, si disintegrerebbe. Se la stragrande maggioranza della popolazione non potrà più fare affidamento sui propri sensi per discernere l'autentico dal sintetico, il contratto sociale collasserebbe. Non si tratta soltanto di disinformazione: è un problema di realtà. Entreremmo in un'era di sospetto universale, dove ogni traccia audio, ogni video, ogni telefonata si trasformerebbe in potenziale vettore d'inganno, imponendoci una vigilanza cognitiva costante che è, in sé, socialmente paralizzante.

Nel caos, la legge tenta faticosamente di tracciare confini. La Commissione Europea ha presentato la sua "Bussola della Cultura", che include una strategia specifica per l'AI nei settori creativi. Il piano mira ad affrontare due questioni cruciali: l'uso non autorizzato di contenuti protetti da copyright per addestrare i modelli e la necessità di una remunerazione equa per i creatori.

Qui emerge la domanda filosofica e legale che definirà la nostra libertà nell'era digitale: la nostra voce, e il nostro volto, è opera creativa o dato biometrico?

Se è opera creativa, è protetta da copyright. Può essere venduta, concessa in licenza, trasmessa per eredità, come stanno facendo McConaughey e Caine. Ma questa logica dischiude scenari inquietanti: la nostra identità vocale potrebbe essere soggetta a parodia, a riutilizzo satirico, o generare una nuova stratificazione sociale tra "voci" premium, custodite da licenza, e "voci" comuni, saccheggiate per l'addestramento dei modelli.

Se invece è dato biometrico inalienabile, attributo della persona come un'impronta digitale o la scansione della retina, allora è protetta dalle leggi sulla privacy. Non può essere venduta, ma solo utilizzata con consenso esplicito, specifico e costantemente revocabile. Il suo impiego per addestrare un modello AI senza permesso diviene illegale non per violazione di copyright, ma per violazione della persona.

Capite perché la notizia degli accordi di Caine e McConaughey  non è una semplice notizia di intrattenimento? Che cos'è una persona quando può essere separata dalla sua manifestazione sensibile e dove termina il corpo e inizia la proprietà? Inoltre, se la mia voce può essere venduta, significa che non è mai stata 'me', ma solo un bene in attesa di un prezzo?

Stiamo costruendo un mercato di fantasmi, autorizzati e clandestini. Ma forse il vero terrore non risiede nella clonazione stessa, quanto nella domanda che ci costringe a formulare: quando un algoritmo replica perfettamente la tua voce, chi sta parlando? È ancora te? È qualcosa che una volta eri? O è la prova finale che "tu" non sei mai stato altro che un pattern riproducibile, un fenomeno emergente dal calcolo, mai un'essenza?

Forse la voce non è né proprietà né persona. Forse è la linea di confine dove queste categorie collassano, rivelando la loro inadeguatezza di fronte al reale. E noi, impreparati, stiamo mercificando ciò che non abbiamo ancora capito se esista.

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