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Il Vangelo secondo Spike: come il Messia di Brooklyn ha benedetto (e sconvolto) Torino

pike Lee infiamma il Torino Film Festival 2025: le verità su Sinner, l'incontro con Papa Leone XIV e l'attacco a Trump. Leggi il report

Tra una racchetta chiesta a Sinner e una maglia dei Knicks regalata a Papa Leone XIV, Spike Lee trasforma il TorinoFilmFestival in una jam session di diplomazia politica e delirio cinematografico.

[di Alex M. Salgado]

TFF_Spike-Lee

Torino è grigia, nobile, sabauda. Poi arriva lui. Cappellino arancione calcato in testa, occhiali che riflettono i peccati dell'Occidente e una parlantina che viaggia più veloce di un treno della metropolitana di New York. Spike Lee è atterrato al 43° Torino Film Festival e l'aria è cambiata. Niente formalismi, niente inchini stanchi. Solo pura elettricità statica. Il regista di Highest 2 Lowest non è venuto solo a prendersi la "Stella della Mole" dalle mani di Giulio Base; è venuto a dettare la linea, a riscrivere la costituzione del cool e a mettere in chiaro un paio di faccende globali.

L'Incidente Diplomatico? Cancellato.

La sala stampa friggeva. C'era odore di sangue nell'aria. Tutti ricordavano quel tifo sfegatato per Alcaraz al Roland Garros, quel pugno alzato contro il nostro ragazzo d'oro, Jannik Sinner. I leoni da tastiera italiani avevano già affilato gli artigli. Spike entra, prende il microfono e disinnesca la bomba nucleare con la nonchalance di chi ordina un caffè al bar.

"Ci tengo a dire una cosa, subito. Io non ho niente contro Sinner". Boom. Silenzio. "Io adoro Jannik, è un giocatore incredibile... Non ho altro che amore nei suoi confronti".    

E poi, il colpo di genio. La mossa che trasforma un nemico pubblico in un collezionista compulsivo a cui non puoi dire di no. "Anzi spero di poter avere una sua racchetta e farmela autografare... Quindi scrivetelo".  Capito il gioco? Lui non chiede scusa, lui rilancia. Vuole il feticcio. Vuole l'oggetto sacro. E vuole che sia scritto. Pace fatta, game, set, match Spike.   

Habemus Papam (ed è uno dei nostri)

Ma il vero trip allucinogeno di questi giorni non è stato il tennis. È stato il Vaticano. Immaginate la scena: Spike Lee, l'uomo che ha raccontato la strada, al cospetto di Papa Leone XIV, il primo pontefice americano della storia. Sembrava uno scherzo, una fake news.

"Ho ricevuto una email dal suo ufficio e pensavo fosse falsa... ma poi mi hanno risposto che si trattava di cinema, e allora ho iniziato a fluttuare".    

Spike ride mentre lo racconta. È ancora incredulo. Ha portato al Papa una maglia dei Knicks personalizzata. Numero 14. "Pope Leo" sulla schiena. Un'immagine che ha fatto il giro del mondo più veloce di un tweet di Elon Musk. E qui Spike cala l'asso identitario, rivendicando il Pontefice come se fosse un vicino di casa di Bed-Stuy: "La sua gente è Nera. Fate le vostre ricerche. La sua famiglia viene da New Orleans... Creoli. Un sacco di matrimoni misti. Quindi, gente Nera, noi lo reclamiamo. Lo chiamiamo nostro fratello!".  Il Papa che parla di come il cinema possa avere un impatto positivo? Per Spike è musica, è jazz, è la benedizione suprema per un uomo che ha passato la vita a urlare la verità attraverso la pellicola.

Trump, Mamdani e la Confusione Totale

Non pensate che si sia dimenticato della politica. Spike ha il radar sempre acceso. 

L'America non è più il faro della democrazia. "Non mi sembra lo sia ora... le azioni di questa amministrazione non lo dimostrano".  Lo dice da patriota incazzato, da chi ama troppo il suo paese per vederlo affondare senza lottare. E poi c'è questa storia strana tra il Presidente Trump e il sindaco eletto di New York, Zohran Mamdani. Una bromance che ha lasciato Spike perplesso.

"Durante le elezioni, Trump lo chiamava comunista e diceva che New York sarebbe finita nello scarico... Quindi, dalle cose che sono state dette a questa rapida inversione... sono perplesso".    

Spike fiuta l'aria e sente puzza di bruciato, o forse solo l'odore stantio dell'ipocrisia politica. "Sembra che abbiano in qualche modo trovato un terreno comune". E a quelli che minacciavano di scappare dalla Grande Mela se avesse vinto Mamdani? Spike risponde con il gancio destro, sfidando le statistiche: "Voglio i numeri veri se qualcuno ha davvero lasciato New York.  Nessuno lascia New York!."

Highest 2 Lowest: Non Chiamatelo Remake

Denzel Washington torna all'ovile dopo 18 anni. Quinta collaborazione. Highest 2 Lowest. "Mio padre era un musicista jazz. E con Denzel è come se fossimo jazzisti: improvvisiamo, reinterpretiamo. E per reinterpretare Kurosawa abbiamo avuto la benedizione della sua famiglia. L’ho incontrato in passato e sono convinto che avrebbe voluto facessi questo film". Tutti a dire "è il remake di Kurosawa". Spike vi guarda male. "È una reinterpretazione".  Kurosawa aveva le scarpe, Tokyo, il dopoguerra. Spike ha l'industria musicale, Brooklyn, il capitalismo selvaggio. "Stiamo vivendo un periodo oscuro" ha tuonato, citando Peter Weir e il suo Un anno vissuto pericolosamente

LEGGI LA NOSTRA RECENSIONE: Highest 2 Lowest: Spike Lee e il Bivio del Remake a Cannes

Spike Lee a Torino è stato questo: un vortice. Ha preso la Stella, ha benedetto il pubblico, ha urlato "Go Knicks!" e ci ha ricordato che il cinema, quello vero, deve dare fastidio. Deve grattare dove prude. Deve essere autentico come una stretta di mano tra un regista di Brooklyn e un Papa di Chicago.

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