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Il grande Bluff di Hollywood: la sbronza finanziaria dei film in due parti

Analisi finanziaria e irriverente dei film in due parti: come l'Asset Utilization e i brand partner salvano i bilanci di Hollywood.

Hollywood non è un luogo, è uno stato mentale governato da ragionieri sotto anfetamine che hanno trovato un nuovo modo per fregare il banco: tagliare la pellicola a metà e vendervela al doppio.

[di Alex M. Salgado]

Wicked for Good

C’è un odore particolare che aleggia sopra Burbank e Culver City. Non è smog, e non è nemmeno la solita puzza di disperazione che accompagna la stagione dei premi. È l'odore dell'ozono bruciato dai server dei dipartimenti contabili. Mentre voi vi godete lo spettacolo smeraldino di Wicked, dietro le quinte si sta consumando un rito pagano di ingegneria finanziaria che farebbe impallidire Wall Street. Gli Studios non stanno più facendo cinema; stanno gestendo asset a lungo termine, e la strategia del "film diviso in due parti" è la loro ultima, frenetica scommessa per truccare il banco.

L'Estasi dell'Ammortamento (O come spremere il limone due volte)

Dimenticate la "densità narrativa" del libro originale. Sono favole per i comunicati stampa. La vera ragione per cui stiamo vedendo film tagliati con l'accetta risiede in una voce di bilancio noiosa e fondamentale: l'Asset Utilization. Costruire la Città di Smeraldo o le dune di Arrakis costa una fortuna oscena in legno, manodopera e render digitali. Se usate quei beni per un film di due ore, state bruciando denaro. Ma se girate due film back-to-back, in un'unica, estenuante maratona produttiva, accade il miracolo economico.

I costi fissi "below-the-line", i set fisici, i costumi, i modelli 3D complessi, vengono spalmati su due prodotti distinti venduti a prezzo pieno. È l'equivalente cinematografico di usare la stessa bustina di tè per due tazze, vendendole entrambe come "Premium Earl Grey". Inoltre, bloccare il cast per due film prima che il primo diventi una hit impedisce alle star di chiedere aumenti stratosferici. È un controllo dei costi brutale ed efficiente. Aggiungete a questo cocktail i crediti d'imposta, come il nuovo AVEC del Regno Unito che restituisce circa il 25% netto delle spese, e capirete perché la Universal ha rischiato 350 milioni su Wicked. Quel rimborso fiscale non è solo uno sconto; è un flusso di cassa vitale che arriva proprio quando i conti vanno in rosso, agendo come un prestito a tasso zero offerto dai contribuenti britannici.

LEGGI L'ARTICOLO: Ritorno a Oz: Wicked Parte 2 strega il Box Office italiano e mondiale

Il Paradosso del Marketing e la "Pezza" Corporativa

Qui però la logica del risparmio rischia di schiantarsi contro il muro della realtà. Si potrebbe pensare che due film girati insieme costino la metà anche in pubblicità. Errore fatale. Il pubblico ha la memoria di un pesce rosso. Quando arriva la "Parte 2" un anno dopo, lo studio deve spendere cifre folli per "ri-acquisire" lo spettatore, ricordargli la trama e convincerlo che questa volta è davvero la fine. I risparmi ottenuti sul set rischiano di essere bruciati interamente in una campagna marketing ridondante.

Come ne escono vivi i contabili? Semplice: vendono l'anima del film. Per coprire l'emorragia di denaro del secondo lancio, gli Studios si affidano a una saturazione di partnership commerciali. Wicked non ha dovuto pagare per ogni cartellone; ha lasciato che Starbucks, Lexus e altri facessero il lavoro sporco in cambio di prodotti brandizzati. Il marketing non si dimezza, anzi raddoppia, ma la fattura viene girata agli sponsor. È un gioco di prestigio dove il "Media Value" gratuito generato dalle tazze di caffè e da cosmetici compensa i milioni spesi in spot televisivi.

Il Cimitero delle Intenzioni: Quando il Banco Vince (e Kevin Costner Perde)

Questa strategia è un'arma a doppio taglio affilatissima. Funziona solo se trasformate l'uscita in un "Evento Culturale" imperdibile. Se fallite, il disastro è biblico. Chiedete a Kevin Costner. Il suo Horizon: An American Saga è l'esempio perfetto di cosa succede quando si applica questo modello senza la rete di sicurezza delle major. Ha investito capitale proprio, ha diviso la storia, e il pubblico ha risposto con un'alzata di spalle collettiva, lasciando la "Parte 2" in un limbo distributivo imbarazzante.

Il pericolo mortale è la "Part 1 fatigue". L'etichetta "Parte 1" è diventata radioattiva, un segnale che urla al consumatore: "Questo è solo un preambolo costoso!". Ecco perché gli studios ora nascondono i numeri dai titoli, pregando che lo spettatore non si accorga che sta pagando il biglietto intero per metà storia. Hanno paura che lo spettatore, seduto sul divano con Netflix, decida di aspettare il 2026 per vedere la storia completa. 

È un gioco d'azzardo cinico, basato sulla "Real Options Theory": si esercita l'opzione di fare il sequel prima ancora di sapere se al pubblico piace l'originale. Siamo di fronte a un bivio culturale. Se Wicked regge, preparatevi a vedere ogni singola sceneggiatura divisa con l'accetta. Se crolla, vedremo teste cadere nei parcheggi degli Studios. In ogni caso, ricordate: quando pagate il biglietto, non state solo guardando un film. State finanziando la più grande partita di poker mai giocata sulla pelle dello storytelling.

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