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Hollywood e l'anima della Macchina: come lo spot di un tacchino svela il futuro del Cinema

Lo spot AI di Google svela l'alleanza tra Hollywood e l'intelligenza artificiale. Analisi pro, contro, e del futuro della creatività umana nel cinema

Dall'adorabile spot di Google generato con l'IA all'ira di Emma Thompson, la controversa alleanza tra l'intelligenza artificiale e la settima arte, tra promesse di efficienza e paure per la creatività umana.

[di Alessandro Massimo]

Planning a Quick Getaway? Spot Google Veo 3

L'immagine è studiata per essere irresistibile: un tacchino di pezza, animato da un'inaspettata urgenza, pianifica la sua fuga prima del Giorno del Ringraziamento utilizzando la ricerca potenziata dall'intelligenza artificiale di Google. Lo spot, intitolato "Planning a Quick Getaway?" è il primo spot televisivo di Google interamente generato dal suo modello IA, Veo 3, e rappresenta una dichiarazione d'intenti che risuona potente nei corridoi di Hollywood. La scelta di un protagonista non umano, un giocattolo animato, è strategicamente un modo per aggirare con eleganza l'inquietante "uncanny valley", quell'abisso psicologico in cui le repliche quasi umane ci respingono anziché affascinarci.  

Questo adorabile tacchino, nella sua fuga calcolata, simboleggia l'ingresso ufficiale e ben ponderato della tecnologia IA nel mainstream della produzione visiva, aprendo il sipario su una delle alleanze più complesse e controverse del nostro tempo: quella tra l'industria cinematografica e l'immagine intelligente.

L'attrazione di Hollywood per l'IA è alimentata da una logica economica quasi ineluttabile. L'investitore Kevin O'Leary ha dato voce a questo pragmatismo brutale suggerendo di sostituire le comparse umane con l'IA per abbattere i costi di produzione. La sua visione, puramente orientata all'efficienza, dipinge un futuro in cui set affollati vengono renderizzati con un clic, eliminando le complessità logistiche e finanziarie legate alla gestione di centinaia di persone. Questa prospettiva trova terreno fertile in un'industria che lotta costantemente con budget crescenti e la ricerca di margini di profitto sempre più ampi. L'IA promette di democratizzare la creazione di scene spettacolari, rendendole accessibili anche a produzioni con meno risorse.  

Tuttavia, a questa sirena dell'efficienza algoritmica si contrappone un coro di voci umane, potenti e profondamente preoccupate. L'attrice e sceneggiatrice premio Oscar Emma Thompson ha espresso la sua intensa irritazione verso gli assistenti di scrittura IA, che minacciano di recidere la sacra connessione tra il cervello e la mano. Il suo colorito e viscerale rifiuto ("Will you f**k off?!") più che una battuta è il manifesto di una resistenza artistica che difende l'atto creativo come un processo intimo, imperfetto e intrinsecamente umano.  

Sulla stessa linea si pone l'attore Simu Liu, che ha definito la proposta di O'Leary "davvero stupida e priva di sensibilità". Liu ha sottolineato un aspetto cruciale che la logica del risparmio ignora: il valore formativo del set. Essere una comparsa è spesso il primo passo, il terreno di addestramento per futuri attori, registi e tecnici. Eliminare questi ruoli significa prosciugare l'ecosistema che nutre i talenti di domani.

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Questo scontro tra efficienza economica e integrità artistica si svolge su un campo minato legale ed etico. Le fondamenta stesse dell'IA generativa sono sotto esame, come dimostra la causa intentata contro Meta, accusata di aver utilizzato materiale protetto da copyright per addestrare i suoi modelli video. Ogni immagine generata porta con sé l'ombra dei dati su cui è stata addestrata, sollevando questioni di paternità e consenso che i tribunali stanno solo iniziando a districare. La stessa OpenAI, consapevole dei rischi, ha istituito un comitato di sicurezza con il potere di fermare il rilascio di modelli ritenuti pericolosi, un'ammissione implicita che la tecnologia, se non governata, può avere conseguenze imprevedibili.  

Lo spot del tacchino Tom, quindi, è molto più di un'abile mossa di marketing. È il simbolo di un'industria a un bivio. Da un lato, la promessa di un'efficienza senza precedenti, di mondi creati a costi ridotti e con una velocità sbalorditiva. Dall'altro, la difesa del valore insostituibile dell'esperienza umana, della casualità di un'espressione, dell'imperfezione che rende un'interpretazione memorabile.

L'alleanza tra Hollywood e l'IA non è più una questione di "se", ma di "come". La sfida non sarà tecnologica, ma filosofica: trovare un equilibrio in cui l'IA rimanga uno strumento al servizio della visione umana, un pennello potentissimo nelle mani dell'artista, senza diventare essa stessa l'artista. Il futuro del cinema si gioca in questo delicato equilibrio, nella capacità di abbracciare l'innovazione senza perdere l'anima, assicurandosi che dietro ogni immagine, per quanto spettacolare, ci sia ancora una storia che solo un essere umano può veramente raccontare.

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