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Il Palcoscenico Algoritmico: L'Intelligenza Artificiale e la Scena Liquida di Bauman. Part. 3

Dall'arte auto-distruttiva di Metzger all'IA, scopri come le arti performative incarnano la società liquida di Bauman. Un'analisi su identità e futuro

Da Gustav Metzger all'IA, come le arti performative incarnano la nostra identità fluida e precaria.

[di Massimo Righetti]

Gazira Babeli

Zygmunt Bauman ci ha consegnato una metafora che definisce il nostro tempo: quella della "società liquida", un mondo dove ogni certezza si dissolve e le strutture del passato cedono a una condizione di perenne fluidità. In questo scenario, dove l'unica certezza è l'incertezza, le arti performative vivono una metamorfosi radicale. L'intelligenza artificiale accelera questa trasformazione, ma le radici di un'arte che incarna la dissolvenza affondano più in profondità. Già decenni fa, Gustav Metzger anticipava la logica del nostro presente, preparando il terreno per ciò che oggi si compie sul palcoscenico algoritmico.

Gustav Metzger
Bauman stesso riconobbe nell'arte auto-distruttiva di Metzger un'affinità inquietante con la logica consumistica che stava liquefacendo la cultura. Negli anni Sessanta, le performance di Metzger, acido spruzzato su tele di nylon che si corrodevano davanti al pubblico, erano manifesti critici del ciclo di creazione e distruzione che alimenta il consumo. La sua arte materializzava un principio oggi divenuto norma: lo smaltimento è già contenuto nel progetto originale. L'opera non si offriva come prodotto da consumare, ma come evento che, attraverso la propria scomparsa, costringeva a riflettere sulla precarietà. Quell'atto critico ha gettato le basi per comprendere come la performance possa incarnare la liquidità, non solo rappresentarla.

Oggi l'intelligenza artificiale porta questa dissolvenza oltre, dando vita al "performer ibrido". Se Metzger distruggeva la materia, l'IA smaterializza l'identità stessa. Sul palcoscenico contemporaneo, il corpo biologico si fonde con flussi di dati e algoritmi, generando un'entità in perpetuo divenire. L'identità non è più semplicemente frammentata: è attivamente fluida, negoziata istante per istante tra intenzione umana e autonomia della macchina. Questa fusione ridefinisce i confini tra organico e artificiale, esplorando identità, emozione ed esistenza attraverso la lente algoritmica.

Dalla collaborazione tra uomo e macchina emerge un nuovo paradigma creativo: la "simpoiesi", processo co-creativo e non gerarchico in cui nessun elemento conserva piena autonomia. Una performance guidata dall'IA è intrinsecamente liquida: analizza e reagisce in tempo reale ai movimenti dei performer o alle emozioni del pubblico, generando paesaggi sonori, proiezioni visive o snodi narrativi imprevedibili. Ogni rappresentazione diventa evento unico e irripetibile, flusso che si adatta e si trasforma, rifiutando di solidificarsi. La performance stessa si fa metafora vivente della società liquida, sistema incapace di conservare a lungo la medesima forma.

La manifestazione più compiuta di questa tendenza è l'avatar digitale, il sé liquido per eccellenza. Nei metaversi e nelle performance online, l'identità diventa esplicitamente un compito, progetto fai-da-te svincolato dai limiti del corpo fisico. Gazira Babeli, artista-avatar nata in Second Life, ha incarnato questa condizione con lucidità programmatica: "Il mio corpo può camminare a piedi nudi, ma il mio avatar ha bisogno di scarpe Prada". La frase cattura l'essenza dell'identità performativa digitale, costrutto malleabile legato alla logica del consumo e dello status, identità che si "acquista" e si "indossa" per partecipare al mercato globale dell'attenzione. L'avatar è la piena realizzazione dell'individuo liquido baumaniano: disincarnato, infinitamente modificabile e, in ultima analisi, effimero.

Zygmunt Bauman - Scena del film "La Teoria Svedese sull'Amore"
Dalla distruzione fisica di Metzger alla smaterializzazione algoritmica, le arti performative rimangono il laboratorio più avanzato della nostra condizione. Il palcoscenico diventa specchio potente e inquietante del presente, costringendoci a interrogare la natura della creatività, l'autenticità dell'esperienza, il significato stesso di "umano" in un mondo dove i confini tra noi e le macchine si fanno sempre più porosi. La sfida, come suggeriva Bauman, consiste nell'imparare a navigare questo flusso con consapevolezza critica, trasformando l'incertezza in spazio di ridefinizione continua.

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