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Margaret Bourke-White: l'opera di una pioniera. La grande mostra a Reggio Emilia

Scopri la grande mostra di Margaret Bourke-White a Reggio Emilia (2025-26). 150 foto tra reportage di guerra, industria e ritratti iconici (Gandhi)

Ai Chiostri di San Pietro, 150 scatti ripercorrono la carriera della leggendaria fotografa di LIFE, tra industria, guerra e le grandi trasformazioni del Novecento.

[di Angelo Bruno]

Mohandas Karamchand Gandhi mentre legge vicino a un arcolaio nella sua casa di Pune. Maharashtra, India (1946/The LIFE Picture Collection/Shutterstock)

Reggio Emilia si prepara a ospitare un evento fondamentale per la comprensione della fotografia del Novecento. Dal 25 ottobre 2025 all’8 febbraio 2026 , gli storici Chiostri di San Pietro accolgono "Margaret Bourke-White. L’opera 1930-1960" , una densa retrospettiva dedicata a una delle figure più rilevanti e pionieristiche del secolo scorso. L’iniziativa, promossa dalla Fondazione Palazzo Magnani e curata da Monica Poggi in collaborazione con CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia , non è un semplice omaggio, ma una disamina critica che, attraverso circa 150 immagini , traccia l'evoluzione di una carriera straordinaria e di uno sguardo unico.

Margaret Bourke-White (New York, 1904 – Stamford, 1971) è stata molto più di una fotografa: fu una donna libera e anticonformista che seppe imporsi con determinazione in un mondo professionale dominato dagli uomini. Già negli anni Trenta, divenne una delle figure femminili più celebri d’America , capace di superare barriere e confini di genere. La sua filosofia professionale è racchiusa magnificamente in una sua stessa citazione: “Trovare qualcosa di nuovo, qualcosa che nessuno avrebbe potuto immaginare prima, qualcosa che solo tu puoi trovare perché, oltre ad essere fotografo, sei un essere umano un po' speciale, capace di guardare in profondità dove altri tirerebbero dritto”. Questo sguardo le ha permesso di coniugare un'altissima sensibilità artistica con un indomito coraggio civile , lasciando un segno profondo nella storia della fotografia.

La mostra di Reggio Emilia articola questo percorso complesso in sei sezioni tematiche , seguendo un criterio cronologico e tematico che copre tre decenni di attività. Si parte da I primi servizi di ‘Life’ , la leggendaria rivista per la quale Bourke-White firmò l'immagine di copertina del primissimo numero, nel 1936 , con la sua foto della diga di Fort Peck. Fu l'inizio di una collaborazione duratura che la vide raccontare grandi opere pubbliche e processi industriali. Questo aspetto è approfondito ne L’incanto delle fabbriche e dei grattacieli , dove emergono i suoi interessi modernisti e l'attrazione per le geometrie monumentali dei grandi complessi produttivi.

La sua audacia la portò a Ritrarre l’utopia in Russia; Bourke-White fu, infatti, la prima fotografa americana ammessa a documentare l'Unione Sovietica. Le sue immagini di quel periodo cercano di restituire la portata della trasformazione industriale e sociale in atto , mantenendo uno sguardo sospeso tra documentazione e retorica visiva. La sua carriera, tuttavia, prese una svolta decisiva con il conflitto. La sezione Cielo e fango, le fotografie della guerra raccoglie i reportage realizzati durante la Seconda Guerra Mondiale sui fronti africani, europei e sovietici. Anche nelle condizioni logistiche più estreme, l'autrice non rinunciò a un approccio tecnico esigente, continuando a utilizzare apparecchi medio e grande formato per ottenere una nitidezza e una composizione capaci di conferire monumentalità ai soggetti. Fu lei a documentare con occhio implacabile l'entrata delle truppe a Berlino e gli orrori dei campi di concentramento. “Vidi e fotografai pile di corpi nudi senza vita... gli scheletri viventi... In quei giorni la macchina fotografica era quasi un sollievo, inseriva una sottile barriera tra me e l’orrore che avevo di fronte”, scrisse.

Soldato americano che chiacchiera con una ragazza tedesca nella Berlino del dopoguerra (1945)

Nel dopoguerra, il suo obiettivo si sposta su Il mondo senza confini: i reportage in India, Pakistan e Corea. Testimoniò il processo di decolonizzazione e immortalò Mahatma Gandhi nei suoi iconici ritratti , come quello celebre vicino all'arcolaio a Pune. È interessante notare come, in questi reportage, Bourke-White prediligesse la posa alla presa diretta , distinguendosi da contemporanei come Robert Capa o Henri Cartier-Bresson. Una scelta stilistica precisa, la sua, mirata a restituire dignità ai soggetti, spesso appartenenti a classi sociali emarginate. L'esposizione si chiude con Oro, diamanti e Coca-Cola , una sezione che affronta il tema ricorrente delle disuguaglianze sociali , documentando i contrasti economici in Africa e negli Stati Uniti , come nel potente servizio "Separate and Unequal" sulla segregazione razziale.

Colpita dal morbo di Parkinson, fu costretta ad abbandonare la fotografia nel 1957. Si dedicò allora alla sua autobiografia, Portrait of Myself , pubblicata nel 1963 , prima di spegnersi nel 1971. La mostra ai Chiostri di San Pietro, arricchita da un programma di incontri pubblici sul cosiddetto "Secolo americano" , restituisce non solo la grandezza della fotografa, ma anche la profonda umanità di una donna capace di passare con coerenza stilistica dall'imponenza industriale alla vulnerabilità dell'essere umano.

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