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Siria: La Rinascita del Patrimonio Culturale tra le Macerie della Guerra e l'Isolamento

Dopo anni di devastazione, il patrimonio culturale siriano vede una speranza. Il WMF e l'UNESCO esplorano un ritorno per una ricostruzione strategica

Il potenziale ritorno del World Monuments Fund e delle organizzazioni internazionali segna una svolta decisiva per la Siria, ma la ricostruzione richiede una visione strategica che trascenda il restauro, verso la ricomposizione dell'identità e della coesione sociale.

[di Mina Jane]

Souk di Aleppo - Courtesy of WMF
Nell'orizzonte temporale di quasi quattordici anni di conflitto, emerge oggi uno spiraglio di possibilità per il patrimonio culturale siriano, territorio di una devastazione che ha assunto i caratteri di una doppia apocalisse: quella materiale della guerra e quella simbolica dell'isolamento. Il potenziale rientro del World Monuments Fund (WMF) e di altre istituzioni internazionali configura non tanto un semplice ritorno, quanto piuttosto un momento di riconfigurazione critica per un'eredità culturale che ha attraversato la prova del fuoco della storia contemporanea.

La fenomenologia di questa catastrofe rivela la sua complessità nell'intreccio perverso tra intenzioni politiche e conseguenze culturali. Le sanzioni internazionali, strumento di pressione geopolitica, hanno generato un effetto collaterale di portata devastante: l'interruzione di quel flusso vitale di "finanziamenti, competenze tecniche e materiali essenziali" che costituisce l'ossigeno stesso della conservazione culturale. Come osserva Bénédicte de Montlaur, Presidente e CEO del WMF: 

Questo isolamento ha costretto i professionisti siriani del patrimonio a sostenere il peso di proteggere la loro eredità culturale in gran parte da soli – un atto di resistenza culturale che assume i contorni dell'eroismo quotidiano.

La testimonianza del Museo Nazionale di Damasco diventa così paradigmatica di una condizione più generale: l'istituzione museale trasformata in palinsesto della distruzione, dove le pareti crepate e i sistemi di climatizzazione compromessi narrano una storia di abbandono forzato. La trasformazione di gran parte dello spazio espositivo in deposito per le collezioni di altri sei musei feriti – Palmira, Aleppo tra gli altri – configura una geografia della sopravvivenza culturale, dove il centro diventa rifugio periferico e la conservazione si riduce a mero stoccaggio. I circa 100.000 pezzi della collezione permanente, relegati in uno stato di abbandono, diventano testimoni silenziosi di una crisi che trascende la dimensione materiale per assumere quella esistenziale.

Dettaglio Ayyubid Palace nella Cittadella di Aleppo 
Il senso di abbandono espresso dai professionisti locali rivela la frattura tra centro e periferia del sistema culturale internazionale. Mentre le istituzioni occidentali rimanevano immobilizzate dal timore di violare le sanzioni, si creava un vuoto di presenza che Ayman Al Nabo, direttore del Centro per le Antichità di Idlib, descrive attraverso la complessità burocratica di un sistema di finanziamento divenuto "molto complicato, lento e talvolta rischioso" – una condizione che trasforma l'atto stesso della conservazione in un esercizio di resistenza clandestina.

L'engagement del WMF in territorio siriano non costituisce tuttavia una novità assoluta, ma piuttosto la ripresa di un dialogo interrotto. Il precedente più significativo risiede nel progetto di conservazione della Cittadella di Aleppo, iniziato nel 2002 in collaborazione con l'Aga Khan Trustfor Culture (AKTC) – un'opera di interpretazione e valorizzazione di uno dei complessi fortificati più antichi e monumentali del mondo, bruscamente interrotta nel 2011 dall'irrompere del conflitto.

Durante l'interregno bellico, il WMF ha mantenuto una presenza simbolica attraverso l'inserimento dei siti siriani nella World Monuments Watch (2014, 2018) e attraverso iniziative di formazione artigianale per rifugiati siriani in Giordania – un investimento nelle competenze che prefigura la ricostruzione futura. Questa strategia di "preparazione a distanza" trova oggi la sua giustificazione nella dichiarazione di de Montlaur: "gettare le basi affinché, quando arriverà il momento, il nostro rientro in Siria sia immediato, collaborativo e di impatto".

L'iniziativa dell'UNESCO, che riprende le proprie attività dopo quattordici anni con un progetto pilota da 175.000 dollari presso il Museo Nazionale di Damasco, si configura come primo segno tangibile di questa nuova fase. Tuttavia, la vera sfida risiede nella comprensione che la ricostruzione del patrimonio culturale non può limitarsi alla dimensione tecnico-conservativa, ma deve farsi carico di un processo più complesso di ristabilimento dell'identità, rafforzamento delle comunità e promozione di futuri urbani sostenibili e resilienti.

Antica Città di Bosra
Questo paradigma richiede un'integrazione sistemica tra conservazione culturale, rivitalizzazione economica e ricostruzione del tessuto sociale – un approccio che può realizzarsi esclusivamente attraverso una governance inclusiva e una collaborazione organica tra istituzioni governative, organizzazioni non governative e attori locali. Solo in questa prospettiva la ricostruzione delle pietre potrà coincidere con la rinascita di una comunità, trasformando il restauro monumentale in rigenerazione culturale e sociale.

La Siria si trova oggi di fronte a una soglia critica: quella che separa la mera riparazione del danno dalla ricostruzione di un futuro. Il patrimonio culturale, in questa prospettiva, non costituisce semplicemente l'oggetto dell'intervento, ma il medium stesso attraverso cui una società può ritrovare la propria identità e progettare la propria continuità storica.

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