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Mario Martone a Piazza Vittorio: Il mio cinema cerca il passato nel presente. Il racconto di Fuori tra Goliarda Sapienza e la Roma del 1980

Cronaca dell'incontro con Mario Martone a Piazza Vittorio per il film "Fuori". Il regista racconta Goliarda Sapienza e il suo cinema della realtà

In una serata d'agosto torrida e stracolma, il regista ha intessuto un dialogo con il pubblico di "Notti di Cinema a Piazza Vittorio", disvelando il legame tra la sua ultima opera e il film d'esordio, il lavoro con le detenute di Rebibbia e quella scena finale con Enzo Biagi che illumina una verità scomoda: "Pasolini lo ascoltavano perché era un uomo, Goliarda no".

[di Alex M. Salgado]

Mario Martone. Ph. Mario Spada

Nella Roma estiva che sfida l'afa senza cedere, neppure a Ferragosto, la vitalità del cinema d'autore manifesta la propria resistenza. L'arena di Notti di Cinema a Piazza Vittorio traboccava ieri sera di spettatori accorsi per incontrare Mario Martone, evento agognato per la presentazione della sua ultima fatica, Fuori"Chissà chi ci sarà. Saremo quattro gatti", aveva confessato con disarmante candore il regista, appena atterrato a Roma per presenziare all'incontro. La sua sorpresa di fronte alla platea traboccante si è tramutata in commozione: "invece guarda quante persone! Che bello". Per Martone, un momento dal duplice valore: "non ero mai riuscito a venire a presentare un mio film all'Arena, quindi questa stasera è la prima volta".

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Valeria Golino - Fuori
Condotto da Massimo Righetti, l'incontro si è presto trasformato in un colloquio denso e rivelatore, un'immersione nell'universo creativo di un autore che, con quest'opera, non si limita a narrare una vicenda, ma contribuisce a riscriverla. Il primo intervento del pubblico ha subito intuito un filo conduttore, una connessione profonda che salda Fuori all'opera prima di Martone, Morte di un matematico napoletano. Il regista, avvalorando l'intuizione dello spettatore ha replicato: "Sono molto d'accordo, nel senso io ho molto pensato a quel film facendo questo. Ho pensato che i due film sarebbero stati in un certo senso legati". Al cuore di entrambe le opere, ha chiarito, dimora una figura che vive un profondo smarrimento esistenziale, che si percepisce estranea al mondo circostante. Ma se nel film del 1992 il protagonista elegge il suicidio, qui Goliarda Sapienza "non si suicida grazie probabilmente all'incontro con questa amica, con queste amiche, con questa realtà del carcere che improvvisamente fanno irrompere nella sua vita una dimensione vitale e soprattutto un senso di realtà".

GUARDA IL TRAILER: FUORI di Mario Martone (2025)

La deviazione dalla biografia canonica concentrandosi sull'adattamento del romanzo autobiografico L'Università di Rebibbiascaturita da una scelta meditata, è nata dall'intuizione della sceneggiatrice Ippolita Di Majo. "Si pensava a un film biografico", ha raccontato Martone. "Poi a un certo punto lei ha avuto invece questa intuizione di fare un film... più 'goliardico', mettiamola così. Il risultato è un'opera che mi ha concesso la possibilità di fare un road movie nella Roma degli anni del 1980, una Roma narrata come paesaggio dell'anima, desertica e abbagliante".

Matilda De Angelis, Valeria Golino, Elodie

A questo proposito, una domanda tecnica sulla ricostruzione della Stazione Termini di 45 anni fa ha permesso a Martone di svelare un aspetto essenziale del suo metodo. Più che sulla ricostruzione scenografica o sugli effetti speciali (usati, ha rivelato, solo per il tabellone e un'inquadratura totale ), il suo cinema si fonda su una precisa scelta di visione: "È una questione di sguardo". Ha spiegato che il suo approccio consiste nel cercare e inquadrare oggi le cose che sono rimaste esattamente com'erano all'epoca, filmando la Termini odierna ma con uno sguardo selettivo. Questa pratica, ha confessato, è nata per necessità durante il suo primo film, Morte di un matematico napoletano, quando la mancanza di budget lo spinse a "cercare a Napoli tutta la parte di città che era rimasta come nel 59". Quella che era una soluzione dettata dalle circostanze è diventata così il fondamento del suo modo di fare cinema: trovare il passato ancora vivo nel presente.

Sollecitato dal pubblico a menzionare i suoi collaboratori, ha voluto rendere omaggio alla sua squadra: "Il direttore della fotografia è Paolo Carnera, lo scenografo è Carmine Guarino, la costumista è Loredana Buscelli, tutti straordinari compagni di viaggio, e Maricetta Lombardo al suono in presa diretta, perché anche il suono è stato un passaggio molto delicato da ricostruire".

Un altro pilastro del film è la ricerca di una verità quasi documentaristica, scelta estetica ed etica che ha condotto la produzione a girare nei luoghi autentici della vita della scrittrice: la sua dimora reale e il carcere di Rebibbia. Martone ha tenuto a precisare la natura della collaborazione con le detenute: "hanno naturalmente lavorato come figuranti, cioè quindi sono state pagate, non abbiamo fatto il film, come dire, filmandole, "rubando" pertanto le loro immagini. Abbiamo avuto bisogno proprio della loro collaborazione. È questa dimensione di realtà che mi ha consentito nel film di ancorare la finzione a una verità palpabile".

Il dialogo si è poi spostato sulla potente scena conclusiva del film, che sui titoli di coda proietta un frammento di intervista televisiva in cui Goliarda Sapienza viene trattata con sufficienza e quasi schernita. Lo stesso moderatore, Righetti, ha ammesso che proprio quella sequenza ha mandato in frantumi le sue domande preparate: "Questa sarebbe stata la prima domanda [sulla biografia non tradizionale, ndr], però poi ho rivisto per l'ennesima volta l'ultima parte finale e l'intervista da Enzo Biagi in cui viene quasi derisa e come ogni volta che la vedo mi colpisce e mi ferisce nell'animo". Martone ha raccolto il suggerimento, offrendo una lettura tanto amara quanto cristallina di quel documento storico: "se in quegli anni lì Pasolini poteva dire delle cose in televisione anche molto dure... lo ascoltavano, lo lasciavano parlare. E perché? Pasolini era un uomo, tutto qui". Quell'inserto d'archivio agisce come un controcampo all'intero film, fornendo la testimonianza dell'ostilità che il mondo "fuori" riservava a un'intellettuale indomabile e refrattaria a ogni addomesticamento.

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Notti di Cinema a Piazza Vittorio
Il finale dell'incontro ha toccato le corde più profonde dell'anima del film, quando dal moderatore dell'incontro è stata lodata non solo la "stupefacente" colonna sonora di Valerio Vigliar con brani di Robert Wyatt, ma anche il modo meraviglioso in cui il regista ha trattato cromaticamente e matericamente la città di Roma, per poi concludere con un'osservazione personale e acuta : "mi piace la tua fame di libertario, anarchico e utopista". Visibilmente compiaciuto, Martone ha sorriso, replicando con un filo di autoironia: "Che bello. Grazie. Nonostante questa mia aria da bravo ragazzo, mi fa piacere che vengano lette e percepite queste sensazioni su di me e dentro il mio film". Ma non si è fermato a un semplice ringraziamento. Ha subito colto l'occasione per legare quella spinta libertaria, che gli veniva riconosciuta, alle precise scelte estetiche e tecniche del film. "Non a caso Robert Wyatt", ha specificato, confermando che la scelta di quel musicista, simbolo di una certa controcultura, non era affatto casuale. Ha poi spiegato come quella stessa attitudine si traduca nel linguaggio cinematografico, ricollegandosi al suo metodo di evocare il passato attraverso il presente. Ha parlato dell'eccezionale lavoro cromatico fatto con il direttore della fotografia Paolo Carnera e ha svelato un dettaglio tecnico rivelatore: "potete anche notare che in alcuni casi ho usato, per esempio, degli zoom. È una cosa che si faceva negli anni '70/'80". Quella che potrebbe sembrare una scelta di stile datata è in realtà un mio gesto consapevole e coerente: un modo per far rivivere un'epoca non solo attraverso la storia e le scenografie, ma anche attraverso il suo stesso linguaggio visivo, provando ad immergere lo spettatore in un'atmosfera che è tanto estetica quanto politica". In questo modo, la "fame utopista" non resta un concetto astratto, ma diventa la materia stessa di cui è fatto il film: la sua musica, i suoi colori e persino il modo in cui la macchina da presa si muove.

La serata si è conclusa così, con la percezione di aver dialogato non solo con un regista, ma con un autore che possiede una visione cinematografica profonda e coerente, capace di coniugare rigore intellettuale e palpabile empatia per i suoi personaggi, perennemente "fuori" dagli schemi, proprio come la sua indimenticabile Goliarda.


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