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L’insostenibile leggerezza del Labubu: Paul King e il film di cui forse (non) avevamo bisogno

Paul King dirigerà il film su Labubu per Sony. Il fenomeno Pop Mart: dalle Blind Box al cinema, analisi semiseria di un'ossessione gl

Dalle Blind Box alla grandezza del cinema: Sony Pictures affida al papà di Paddington l’impresa di dare un’anima al mostriciattolo dai nove denti. Siamo di fronte alla fine della civiltà o solo all'inizio di una nuova, morbidissima, ossessione?

[di Massimo Righetti]

Labubu a Hollywood

Il mondo gira, le borse oscillano come altalene ubriache, Lotito non libera la Lazio e da qualche parte, in un ufficio di vetro e acciaio a Culver City, qualcuno firma un pezzo di carta che dice: facciamolo. Facciamo un film su un mostriciattolo di vinile che ride. Un film vero. Un film della Sony Pictures. Con budget. Con comparse. Con un catering che servirà frappuccino e hotdog vegani mentre si discute della motivazione interiore di un pupazzo.

La notizia è arrivata con quel fruscio leggero che fanno le cose inevitabili. Paul King, l'uomo che ha preso un orsetto amante della marmellata e ne ha fatto un capolavoro di garbo ed educazione (Paddington), l'uomo che ha restituito la magia al cioccolato (Wonka), ora ha una nuova missione. Deve prendere Labubu e portarlo sul grande schermo. Deve inventargli un'anima. Un passato. Un trauma infantile, magari.

Voi direte: cos'è un Labubu? Se ve lo state chiedendo, siete salvi. Siete tra i giusti che erediteranno la terra quando la maggioranza, poveri peccatori del consumismo compulsivo, saranno stati inghiottiti dalle loro stesse collezioni di plastica. Labubu è un elfo. O meglio, un mostro. O forse un elfo che ha avuto una brutta giornata. Ha orecchie lunghe, una pelliccia che invita al tatto e, soprattutto, una bocca spalancata in un sorriso che mostra nove denti seghettati. Nove. Non otto, non dieci. Nove. Perché il design è una scienza esatta. Li ha disegnati Kasing Lung, un artista nato a Hong Kong e cresciuto tra le fiabe nordiche dei Paesi Bassi, forse senza immaginare che quel sorriso sghembo sarebbe diventato l'oggetto del desiderio di milioni di esseri umani. E delle loro carte di credito.

Eppure, eccoci qui. A parlare di accordi milionari, di strategie transmediali. Ma la verità, quella che gratta sotto la superficie patinata del comunicato stampa, è un'altra. La verità sta nella scatola.

La scatola cieca. La Blind Box.

È lì che si consuma il dramma moderno. È lì che l'Homo Sapiens incontra il suo destino, armato solo di un bancomat e della ferma convinzione che "questa volta sarà quella giusta". Perché Pop Mart, il colosso cinese che ha trasformato questi giocattoli in oro colato, ha capito tutto della psiche umana. Non ci vendono un oggetto. Ci vendono il brivido dell'ignoto. Ci vendono la speranza. Ci vendono il diritto di urlare "Sììììì!" o "Ancora questo, maledizione!" davanti a testimoni imbarazzati. Tu compri una scatola chiusa, paghi, e in quel momento preciso, mentre strappi il cartone, potrebbe esserci il Labubu che volevi, quello raro, il "Secret" che vale quanto un piccolo appartamento in periferia, oppure potrebbe esserci quello comune, quello che hanno tutti, quello che ti guarda con i suoi nove denti e sembra dirti: "Ritenta. Sarai più fortunato. Stacce".

È un meccanismo perfetto. Diabolico e perfetto. È la slot machine per chi si vergogna di andare al casinò ma non di fare la fila tre ore per un pupazzo. Abbiamo visto gente adulta, persone con diritto di voto e patente di guida, scuotere scatole nei negozi cercando di indovinare il peso dell'anima di un pupazzo. Come sensitivi del merchandising. Abbiamo visto file chilometriche, risse sfiorate, carte di credito strisciate con la disperazione di chi cerca l'ultimo sorso d'acqua nel deserto. E tutto per lui. Per Labubu. Che ride. Ride sempre. Ride perché sa. Sa che tornerai.

E ora, il cinema. Paul King dovrà trovare una voce per quel sorriso. Dovrà inventare una storia dove c'è solo un design kimo-kawaii ("brutto ma carino", come certe verità). Dovrà spiegarci perché dovremmo empatizzare con una creatura che sembra il risultato di un incidente in una fabbrica di peluche. Forse ci racconterà del suo amore per Tycoco, lo scheletro vegetariano (perché anche gli scheletri, nel 2025, hanno problemi etici con la carne). Forse ci spiegherà perché Zimomo ha la coda e lui no. Forse scopriremo che Labubu ha perso la coda in guerra, o in una partita a poker, e ora cerca vendetta. O forse, più semplicemente, cercherà di replicare quella strana alchimia che spinge Lisa delle Blackpink ad appenderselo alla borsa griffata, scatenando l'apocalisse del sold-out in tre continenti. Perché se Lisa lo vuole, il mondo lo vuole. È scritto nelle sacre scritture del marketing.

C'è da chiedersi se ce lo meritiamo. Se come specie, arrivati a questo punto dell'evoluzione, con le stelle a portata di mano e la filosofia di Kant sugli scaffali, il nostro destino fosse davvero guardare un film su un giocattolo sghembo nato per essere collezionato. Un giocattolo che nemmeno fa niente. Sta lì. Sorride. Fine. Forse ci meritiamo l'estinzione. Un meteorite gentile che arrivi, veda le nostre stanze piene di Blind Box ancora da aprire, e decida di premere il tasto reset. "Guardate", direbbe il meteorite, "hanno fatto un film su un pupazzo con nove denti. È ora."

Eppure.

Eppure c'è qualcosa di tenero in tutto questo. C'è la voglia di giocare, che non passa mai. C'è il bisogno di possedere un piccolo mostro che ride, forse per esorcizzare i mostri veri, quelli che non stanno nelle scatole e non sono fatti di vinile. Quelli che ti mandano email o messaggi whatsapp alle 23:47 con scritto "Urgente". Paul King è bravo, maledettamente bravo. Se c'è qualcuno che può prendere questo delirio collettivo e trasformarlo in una storia che ci farà piangere e ridere, è lui. Potrebbe farci commuovere per un mostro di plastica. Potrebbe farci tifare per i suoi nove denti. Potrebbe persino riuscire a farci dimenticare, per novanta minuti, che stiamo guardando una pubblicità costata cento milioni di dollari. Con tanto di scena finale in slow motion dove Labubu corre incontro al tramonto. O forse verso un'altra Blind Box. Chi può dirlo.

E poi, pensateci. Da qualche parte, in questo preciso istante, c'è qualcuno che non sa cosa sia un Labubu. Qualcuno che cammina per strada, vede una lunga fila davanti a un negozio Pop Mart, e tira dritto. Pensa che regalino iPhone, o forse biglietti della lotteria. Non si ferma. Non cerca su Google. Continua a camminare, con le mani in tasca e la mente libera. Beato lui.

Ecco. Finché esisteranno persone così, persone immuni al richiamo della scatola cieca, persone che trovano la felicità in cose che non si possono collezionare, forse c'è ancora speranza. Forse il mondo non finirà con un sorriso a nove denti.

Forse.

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