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L'America in un cassettone: il restauro di un culto. All'Azzurro Scipioni rinasce il documentario di Gianfranco Pannone

Pannone racconta all'Azzurro Scipioni il dietro le quinte di Lettere dall'America: tra microstoria, CIA e un montaggio "cantato".

In anteprima la versione 4K di "Lettere dall'America". Il regista e il suo team storico raccontano trent'anni di cinema del reale, tra ingerenze della CIA e pellicole vintage.

[di Redazione]

Lettere dall'America

Lo schermo dell'Azzurro Scipioni di Roma si è illuminato ieri sera restituendo una brillantezza inedita a un'opera fondamentale degli anni Novanta. L'evento, di quelli che segnano la stagione culturale romana, ha visto la proiezione esclusiva della copia restaurata in 4K di Lettere dall'America (1995). A trent'anni di distanza, il mediano della "Trilogia dell'America" di Gianfranco Pannone torna a vivere con una nitidezza che esalta la grana della pellicola originale, permettendo al pubblico di immergersi nuovamente in quella Napoli del dopoguerra sospesa tra miseria e sogni d'oltreoceano.

Gianfranco Pannone e Giacomo Ravesi
Gianfranco Pannone e Giacomo Ravesi
Pannone, maestro del cinema del reale, ha costruito con questo film un ponte temporale formidabile. Attraverso la corrispondenza dello zio Nicola, emigrato a Brooklyn, il regista intreccia le vicende intime di una famiglia partenopea con le macchinazioni della geopolitica internazionale. La serata ha offerto l'opportunità unica di ascoltare la genesi dell'opera dalla viva voce del regista e dei suoi storici collaboratori: la co-sceneggiatrice Paola Mascioli, il montatore Marco Spoletini e il direttore della fotografia Tarek Ben Abdallah, riuniti in un abbraccio collettivo con il pubblico.

Il racconto di Pannone parte da un ritrovamento domestico che ha il sapore della predestinazione: «Tutto nasce aprendo un cassettone di mia nonna, una donna del popolo vera, alla quale volevo molto bene. Lì dentro ho trovato queste lettere, le lettere di Zio Nicola». Mentre il regista esplorava quella corrispondenza privata, la storia ufficiale rivelava i suoi segreti. Tra il 1993 e il 1994, la CIA desecretava i documenti sull'operazione Letters from America, svelando come il governo USA e il Vaticano avessero orchestrato una campagna di pressione epistolare per condizionare le elezioni italiane del 1948. «C'è stata una convergenza curiosa», ha spiegato Pannone. «Mettendo a confronto le lettere di zio Nicola con i documenti declassificati, abbiamo capito che c'era qualcosa di più grosso. La mia ossessione è sempre stata la microstoria: le famiglie, le piccole comunità all'interno della grande Storia».

A dare corpo e verosimiglianza a questa indagine storica ha contribuito in modo determinante Paola Mascioli, che esaminando il materiale con lavoro certosino, ha aiutato il regista a mettere insieme le lettere dalla nonna ad accostarle in fase di scrittura al repertorio audiovisivo. 

Marco Spoletini, Paola Mascioli, Gianfranco Pannone, Giacomo Revesi e Tarek Ben Abdallah
Marco Spoletini, Paola Mascioli, Gianfranco Pannone,
Giacomo Revesi e Tarek Ben Abdallah
L'incontro si è poi addentrato negli aspetti tecnici, rivelando l'artigianalità che si cela dietro l'estetica del film. Tarek Ben Abdallah ha utilizzato una luce naturale che rispettava la verità dei volti e degli ambienti domestici napoletani, creando un contrasto visivo netto con i materiali d'archivio. Inoltre, ha svelato un dettaglio affascinante sulla scelta della pellicola, dettata da una precisa volontà espressiva più che economica. «All'epoca esisteva la Kodak 48, molto performante e moderna», ha spiegato il direttore della fotografia. «Io invece decisi di usare la 47, che costava anche dieci centesimi di meno al metro, ma serviva per avvicinare un pochetto più di patina». Una scelta radicale per creare quella che Ben Abdallah definisce poeticamente «la memoria della memoria», un'immagine che contempla il passato invece di limitarsi a riprodurlo. Anche la celebre scena del pranzo familiare fu frutto di una reinvenzione: delusi da un ristorante troppo rimodernato, decisero di ricostruire la tavolata basandosi sulle vecchie foto di famiglia, per uscire fuori dal banale e toccare una verità più profonda.

Il montaggio, curato da Marco Spoletini, fu un'impresa eroica svolta in un periodo di transizione tecnologica epocale, mentre il cinema passava dalla moviola ai sistemi digitali Avid. Spoletini ha rievocato con affetto le lunghe giornate passate nelle stanze di montaggio ormai vuote degli stabilimenti romani: «Ci trovavano perché cantavamo. Abbiamo cantato di tutto, da De Gregori a Pupo, per riempire i tempi morti mentre aspettavamo che il materiale venisse ristampato». Una leggerezza che faceva da contrappunto alla difficoltà di maneggiare un repertorio vastissimo senza avere, all'epoca, punti di riferimento consolidati come i documentari di Wiseman.

Lettere dall'America
Impossibile non citare l'apporto musicale di Daniele Sepe, il cui lavoro sulla colonna sonora è stato definito da Pannone vitale e spiazzante. «L'incontro con quel pazzo di Daniele...», ha ricordato il regista sorridendo. «Rimasi folgorato ascoltando il suo disco Spiritus Mundi. Aveva questa capacità di epicizzare la meridionalità, senza dimenticare il suo potere jazz». La musica di Sepe agisce nel film come una drammaturgia parallela, evitando il folklore stucchevole per restituire la complessità culturale dell'emigrazione.

In chiusura, Pannone ha riflettuto sull'inquietante attualità dei temi trattati. La manipolazione del consenso operata nel '48 attraverso le lettere risuona oggi nelle moderne strategie di disinformazione. «Tutto quello che sta succedendo oggi, pensiamo all'ascesa di figure come Trump, è frutto di un terreno preparato con cura. Quando cade il mito, cade tutto», ha concluso il regista. Rivedere Lettere dall'America in 4K all'Azzurro Scipioni conferma che il cinema, quando scava nella memoria con caparbia onestà, possiede gli strumenti per decifrare il futuro.

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Lettere dall'America

Regia: Gianfranco Pannone

genere: documentario 

scritto da Paola Mascioli e Gianfranco Pannone

musiche Daniele Sepe

fotografia Tarek Ben Abdallah

suono Marco Fiumara

montaggio del suono Alessandro Corradi

montaggio Marco Spoletini

prodotto da Marco Fiumara e Gianfranco Pannone per Effetto Notte con Megaris e ARTE France

durata: 55’

35mm – col/bn (copia restaurata in ottobre 2025)

anno di produzione 1995

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