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Il Western all'italiana rivive nel romanzo di Manuel de Teffé: doppio trionfo al Premio Sergio Leone 2025

Manuel de Teffé vince due premi al Premio Sergio Leone 2025 con "C'era una volta a Roma". Un romanzo sul western all'italiana e la Dolce Vita del 1965

"C'era una volta a Roma" conquista la critica unendo la memoria della Dolce Vita alla rivoluzione cinematografica degli anni Sessanta.

[di Redazione]

C'era una volta a Roma

Il legame indissolubile tra la narrativa contemporanea e la gloriosa stagione del cinema di genere ha trovato una nuova consacrazione all'Auditorium Parco della Musica di Roma. In questa prestigiosa cornice, presso la libreria Notebook, il romanzo d'esordio di Manuel de Teffé, intitolato C'era una volta a Roma, ha ottenuto due importanti riconoscimenti nell'ambito del Premio Sergio Leone – Città di Roma. L'opera si è aggiudicata il Primo Premio nella sezione Narrativa e Scrittura, conferito dalla Giuria coordinata da Denise Furlan, e il Premio Matrice Leone, assegnato dalla Commissione interna di Ipermedia CDE.

Da sin. Romolo Guerrieri, Manuel de Teffe' e Gianni Garko al Premio Sergio Leone 2025
Da sin. Romolo Guerrieri, Manuel de Teffe' e Gianni Garko
L’evento, coordinato da Carlo Pepe e dal direttore artistico Fabrizio De Priamo, ha visto la partecipazione di figure storiche del cinema italiano, tra cui gli attori Gianni Garko e Corrado Solari, affiancati dai registi e sceneggiatori Romolo Guerrieri ed Ernesto Gastaldi. La presenza di tali personalità sottolinea la caratura tecnica e storica dell'opera premiata, che affonda le sue radici in un periodo cruciale per la cultura nazionale: il 1965.

Il romanzo trasporta il lettore in una Roma in piena fibrillazione, dove gli echi della Dolce Vita si mescolano alle proteste per la guerra in Vietnam e all'esplosione planetaria di Per un Pugno di Dollari. È il momento in cui Sergio Leone lancia il western all’italiana, un genere esplosivo che sconvolge l'industria cinematografica. In questo scenario, de Teffé intreccia le vite di personaggi surreali ma verosimili: un aristocratico attore shakespeariano, un guru di recitazione russa, un documentarista ebreo e un anziano imprenditore di grissini determinato a trasformare il suo manoscritto segreto nel film Niente dollari per Django.

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L'autore, regista e sceneggiatore con un passato da direttore artistico per Média-Participations, attinge a una fonte biografica d'eccezione. Il libro è ispirato alla storia familiare del padre, Antonio de Teffé von Hoonholtz, meglio noto come Anthony Steffen. Di origine prussiana, Steffen fu protagonista di ventisette pellicole western a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta, detenendo il record di attore più prolifico del settore. La genesi del romanzo risale alla retrospettiva sul western all'italiana organizzata da Quentin Tarantino alla Mostra del Cinema di Venezia del 2007, dove l'autore presentò Una lunga fila di croci di Sergio Garrone.

Da quel momento, de Teffé ha iniziato a ricomporre il mosaico di memorie legate alla nascita di quel filone cinematografico, decidendo di narrare un mondo di cui si sente depositario. Come sottolinea lo stesso autore: “Ringrazio di cuore tutta la giuria del Premio Sergio Leone per l’attenzione con la quale ha letto le 500 pagine del mio romanzo. Finalmente ha preso il largo e galoppa una pagina mai narrata del costume italiano, quella della Dolce Vita travolta dalla rivoluzione culturale del western all’italiana, di cui mio padre, Anthony Steffen, fu uno dei protagonisti”.

L'opera, che ha già collezionato riconoscimenti come il Primo Premio Letterario La Ginestra di Firenze e il Bond Street Award a Londra, si pone come un atto d'amore verso un'epoca irripetibile. Citando l'ammonimento di John Ford "print the legend!"nel finale di L'uomo che uccise Liberty Valance, Manuel de Teffé ha scelto la via della mitopoiesi: “Ho deciso di sedermi, scrivere la leggenda e darla alle stampe”.

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