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Il miraggio di un diamante eterno: Wish You Were Here domina il tempo e le classifiche

Wish You Were Here dei Pink Floyd torna al #1 in classifica per il 50° anniversario. Scopri la riedizione e la storia del tributo a Syd Barrett.

Cinquant'anni dopo, il capolavoro dei Pink Floyd torna in vetta, trasformando l'assenza di Syd Barrett in una presenza tangibile che sovrasta le mode effimere del presente.

[di Massimo Righetti]

wish you were here 50

Il tempo, quel vecchio mercante che solitamente vende oblio e polvere, questa volta ha dovuto inchinarsi dinanzi a qualcosa di più tenace della memoria stessa. Nella cinquantunesima settimana di questo crepuscolare 2025, mentre il mondo si affannava dietro luccichii passeggeri come farfalle notturne attorno a una lampada, un'opera concepita mezzo secolo fa ha scalato silenziosamente la montagna sacra delle classifiche, piantando la sua bandiera sulla vetta con la pazienza di chi sa attendere. Wish You Were Here, nella sua sfarzosa riedizione per il cinquantesimo anniversario, ha conquistato la prima posizione della classifica FIMI in Italia e il prestigioso titolo di Christmas Number 1 nel Regno Unito, infrangendo un record di longevità che apparteneva ai Beatles, testimonianza che l'anima umana, anche nell'era digitale, ha ancora sete di quella dolce e terribile malinconia che solo i Pink Floyd hanno saputo distillare come alchimisti del suono.

La nuova edizione, emersa dal nulla il 12 dicembre 2025, si presenta come uno scrigno prezioso: un cofanetto Deluxe che racchiude vinili trasparenti e recuperi archeologici di inestimabile valore. Tra questi solchi digitali e analogici, curati con devozione monastica da James Guthrie nel nuovo mix Dolby Atmos e da Steven Wilson per il restauro certosino dei nastri dal vivo, risuona ancora l'eco di un'estate lontana, quando quattro uomini entrarono negli Abbey Road Studios con il cuore pesante come piombo e le mani incerte, cercando di dare forma a un dolore che non aveva ancora nome.

ASCOLTA "WISH YOU WERE HERE" (TAKE 1)

Venivano dal trionfo circolare e perfetto di The Dark Side of the Moon, un successo così vasto da minacciare di soffocarli nella sua stessa grandezza. La band cercava una via di fuga dall'ingranaggio dell'industria, quella "Macchina" spietata che Welcome to the Machine descrive con i suoi sintetizzatori pulsanti e freddi come l'acciaio di una lama. Invece di replicare la perfezione, scelsero consapevolmente l'asimmetria, il frammento, l'errore umano elevato ad arte, come un vasaio che lascia volutamente l'impronta delle dita nell'argilla. Eppure, al centro di questa architettura sonora che si ergeva nota dopo nota, abitava un fantasma. Syd Barrett, il "diamante pazzo", crazy diamond, l'amico perduto nei labirinti tortuosi della propria mente, divenne la musa involontaria di un lamento che avrebbe attraversato generazioni.

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pink-floyd-wish-you-were-here-1975
La leggenda, tramandata con reverenza quasi religiosa, narra che proprio mentre la band mixava Shine On You Crazy Diamond, l'elegia in nove parti dedicata a lui, una suite che sale e scende come il respiro di chi piange, un uomo calvo e corpulento, con le sopracciglia rasate e una busta di plastica in mano, varcò la soglia dello studio. Nessuno lo riconobbe inizialmente. Quando Roger Waters e David Gilmour realizzarono che quell'ombra irriconoscibile, quel fantasma di carne, era lo splendente Syd di un tempo, il ragazzo dagli occhi di visionario che aveva acceso la fiamma dei Pink Floyd, le lacrime sgorgarono silenziose, tracciando solchi sulle guance come pioggia su vetro. Quell'incontro spettrale, avvenuto il 5 giugno 1975, conferì al disco un'aura di verità dolorosa che nessun artificio tecnico potrebbe mai replicare. L'assenza divenne presenza tangibile, e il desiderio che "tu fossi qui" si trasformò in una preghiera laica che ancora oggi, ascoltando le note di chitarra di Gilmour che fendono il silenzio come un pianto trattenuto troppo a lungo, ci fa sentire tutti orfani di qualcosa che non sapevamo di aver perso.

Pink Floyd - photo Storm Thorgerson
Oggi, i fedeli possono immergersi nuovamente in quel dolore magnifico grazie al recupero di tesori nascosti: la versione di Wish You Were Here impreziosita dal violino gitano di Stéphane Grappelli, che aggiunge una nota di nostalgia parigina al lamento britannico, o le registrazioni "bootleg" di Mike Millard del concerto di Los Angeles del 1975, che ci restituiscono la band in uno stato di grazia feroce e vitale, come guerrieri prima della battaglia. L'evento milanese presso Dischi Volanti, con le sue code di fedeli in paziente attesa di un vinile bianco limitato, ha dimostrato ancora una volta che questo disco non è un semplice oggetto da collezionare, ma un luogo dell'anima dove ritrovarsi.

Siamo ancora quelle "due anime perse che nuotano in una boccia per pesci", anno dopo anno, generazione dopo generazione. E finché ci sarà qualcuno disposto a perdersi in quella boccia di vetro, cercando di distinguere il paradiso dall'inferno, i cieli blu dal dolore, la verde prateria dall'acciaio freddo, Wish You Were Here continuerà a brillare, solitario e magnifico come una stella polare, sopra le rovine del tempo che tutto consuma ma questa bellezza non può toccare.

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