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C’era una volta il Cinema (e poi è arrivato Quentin Tarantino)

Tarantino contro tutti: demolisce Paul Dano ("weak sauce") e sogna Austin Butler. Il racconto ironico dell'ultima, esplosiva polemica di Hollywood.

Tra dinamite verbale e casting impossibili, il regista demolisce Paul Dano e riscrive la storia del cinema. Cronaca di un delirio d'autore.

[di Massimo Righetti]

Quentin Tarantino

Motore. E… Azione! La scena: Polvere. Tanta polvere. Il sole che picchia duro su un villaggio di frontiera che chiameremo, per comodità, Hollywood. La gente nascosta dietro le persiane, i cavalli che nitriscono nervosi perché sentono l'odore della paura. Poi, dal fondo della strada, arriva lui. Non ha il poncho, non ha il sigaro, ma ha una camicia hawaiana e la mascella sporgente di chi ha masticato troppe pellicole e sputato sentenze.

Quentin Tarantino entra nel saloon. Non ordina whisky. Ordina un microfono. Si siede al tavolo di Bret Easton Ellis, accende una sigaretta con la calma gelida di Clint Eastwood ne Il Buono, il Brutto, il Cattivo, guarda i presenti negli occhi, sorride  e accende la miccia di un candelotto di dinamite. Poi lo lascia lì, sul tavolo, tra una tazza di caffè e una classifica di film. E aspetta. Tic. Tac. Tic. Tac.

Boom.

Il saloon non esiste più. Al suo posto, macerie fumanti: ego attoriali polverizzati, certezze critiche ridotte a coriandoli. Fumo, legno bruciato, e Quentin che si spolvera la camicia hawaiana come se niente fosse. Perché Quentin non è venuto in pace. Non viene mai in pace. Quentin è venuto a dirci la verità. O almeno, la sua verità, che nel cinema spesso conta di più della vita stessa.

La dinamite aveva un nome innocuo: "La classifica dei migliori film del XXI secolo". Roba da cinefili che discutono sulla grana della pellicola mentre il mondo brucia. Invece no. Perché al primo posto, Quentin ci piazza Black Hawk Down. Ridley Scott. Elicotteri, sudore, rumore. Per lui è l'apoteosi. È il cinema che smette di pensare e inizia a picchiare. È pura cinetica. È un infarto lungo due ore e mezza. E fin qui, passi. Ognuno ha i suoi feticci, anche quelli rumorosi.

Il problema, il vero, magnifico, catastrofico problema, arriva alla posizione numero cinque.

Il film è Il petroliere. Un capolavoro indiscusso, una cattedrale di odio e oro nero costruita da Paul Thomas Anderson. Lì dentro c'è Daniel Day-Lewis che recita come se fosse posseduto da un demone babilonese. Tutti si inchinano. Tutti applaudono. Quentin no. Quentin guarda la scena, aspira il fumo della sua sigaretta immaginaria e indica un punto preciso. Un uomo.

Paul Dano.

"Weak sauce". Salsa debole.

il-petroliere-2007-paul-thomas-anderson
Più che una critica, è una condanna culinaria. È dire che in un piatto di pasta all'arrabbiata, tu sei l'acqua di cottura. Tarantino dice che di fronte al gigante Day-Lewis, quel ragazzo lì scompare. Evapora. Diventa trasparente. E poi, perché il pistolero quando spara mira al cuore e non sbaglia mai, aggiunge il dettaglio che uccide: "Il cazzo più floscio del mondo." Ecco. L'ha detto. Silenzio in sala.

Gelo. Qualcuno sviene. Le signore si coprono il volto.

La follia diventa sublime quando Quentin propone la soluzione. Secondo lui, in quel ruolo, nel 2007, doveva esserci Austin Butler. Peccato che all'epoca Austin avesse sedici anni e probabilmente stesse guardando SpongeBob sul divano di casa o imparando ad andare in bicicletta.

Ma a Quentin non importa. Lui è il demiurgo. Lui riscrive la Storia. Ha ucciso Hitler in un cinema parigino, figuriamoci se non può teletrasportare un Elvis del futuro nel deserto californiano del 2007. È visione. È delirio. È Tarantino. È magnifico.

Ma la strage non finisce qui. Perché fermarsi a un solo cadavere quando hai il caricatore pieno? 

Bang.

Midnight-in-Paris-2011
Owen Wilson. Il biondo con il naso storto e l'aria di chi si è appena svegliato in un film di Wes Anderson. Tarantino lo guarda e spara. "Non lo sopporto". Dice che guardando Midnight in Paris ha passato due ore a odiarlo, a desiderare che qualcuno lo spegnesse come un interruttore difettoso. Poi forse lo ha perdonato, ma intanto il colpo è partito. Colpito.

E Matthew Lillard? Il povero Shaggy di Scooby-Doo? Colpito alle spalle mentre beveva una bibita. "Non mi interessa Matthew Lillard". Così. Gratuito. Crudele come solo i bambini e i geni sanno essere. Lillard, dal palco di una convention, ha risposto con la voce tremante di chi si è appena preso una fucilata alla schiena: "Fa male. Ferisce i sentimenti." Come se Zeus scendesse dall'Olimpo solo per dirti che hai le scarpe brutte. E pensare che le avevi scelte con cura. Povero diavolo.

Eppure.

Eppure, in questo massacro, in questa "Valle della Morte" delle vanità hollywoodiane, c'è qualcosa di irresistibile. C'è l'onestà brutale di chi non deve più vendere biglietti. Tarantino ormai è un ex regista, un pensionato di lusso che si diverte a riscrivere la storia seduto in veranda con un fucile a canne mozze sulle ginocchia. Non gliene importa nulla del bon ton, delle public relations, dei sorrisi di circostanza. Lui voleva il duello. Voleva vedere scintille, sangue, titani che si scontrano. Ha visto "salsa debole" e si è arrabbiato. Si è sentito truffato. E ha deciso di far saltare tutto per aria.

Noi stiamo qui, a guardare il fumo che si dirada, un po' scandalizzati, un po' divertiti. Perché in un mondo di comunicati stampa scritti dall'intelligenza artificiale e di lodi sperticate per chiunque riesca a stare in piedi davanti a una telecamera, vedere un vecchio pistolero che spara ancora ad altezza d'uomo è uno spettacolo che vale il prezzo del biglietto.

Il saloon è distrutto. Gli attori piangono. Quentin ride, sale a cavallo e se ne va verso il tramonto. Qualcuno grida "Ehi, Quentin, lo sai di chi sei figlio tu? Sei figlio di una grandissima putt aa-ah-AH!!!", ma lui non si volta. Non si volta mai. 

Musica di Morricone. Il fischio del coyote. Titoli di coda. The end.

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