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Un Sogno Comune: D'Ambrosi, De Santis e il cast di RIP raccontano il coraggio di un cinema collettivo

Scopri "RIP", il film di D'Ambrosi e De Santis. Dal Q&A all'Azzurro Scipioni, il cast racconta la ghost story "non italiana" come un sogno comune.

All'Azzurro Scipioni, i registi e gli attori svelano il "rito collettivo" e la "follia materica" dietro la loro ghost story, tra commozione sul set e la musica di Daniele Silvestri.

[di Alex M. Salgado]

RIP il film - cast

Certe sere il cinema smette i panni dello schermo e ridiventa piazza, focolare, territorio d'incontro. È accaduto all'AzzurroScipioni di Roma, dove la presentazione di RIP, attualmente al cinema grazie a Film Club Distribuzione, con i registi Alessandro D'Ambrosi e Santa De Santis, insieme a gran parte del cast tecnico e artistico, si è trasformata in autentica celebrazione. Più che un incontro pubblico, una festa di famiglia, pervasa da quell'intimità e quella complicità che, abbiamo scoperto, sono state il vero combustibile creativo di questa anomala ghost story italiana.

La domanda del moderatore è arrivata immediata: perché definire RIP un "atto di coraggio"? La risposta, corale, si è configurata come manifesto. Santa De Santis ha aperto le danze: «RIP non è un film tipicamente italiano, perché praticamente ci sono 1000 generi diversi tutti insieme. Gli italiani non sono abituati a questo, un film lo incasellano». Una scelta che genera cortocircuiti sistemici: «Un film così che ha tutti i generi insieme, come lo comunichiamo? È un problema distributivo».

Rip - serata azzurro scipioni
Ma il coraggio, ha aggiunto Alessandro D'Ambrosi, trascende la questione formale. Fare cinema oggi rappresenta già di per sé un atto di resistenza, una battaglia che culmina nel riportare gli spettatori in sala. In un'epoca dominata dall'isolamento, la visione collettiva assume per D'Ambrosi una valenza quasi sacrale. «I film si devono vedere con altra gente che non conosci a fianco», ha spiegato, rivendicando l'importanza di un rito che funzioni da amplificatore emotivo. «Non è una questione di dimensione, non è una questione di tecnica, di acustica, è proprio una questione di rito collettivo. Se io lo vedo a fianco a qualcun altro che si emoziona o più o meno di me, comunque poi incrocio il suo sguardo e  fa risuonare quello che stiamo condividendo. Questo è un amplificatore di emozioni... che credo sia importante in un'epoca in cui i riti collettivi si perdono perché hanno la meglio i riti individuali dell'isolamento digitale».

Questo senso di comunione è nato ben prima dell'arrivo nelle sale. È deflagrato sul set. Santa De Santis ha descritto la produzione come un'opera corale di una grande intensità emotiva. Il progetto ha raccontato, «nasce tanti anni fa... e poi abbiamo avuto il bisogno e la fortuna di incontrare dei cuori, delle vite, dei talenti artistici, ma soprattutto delle generosità umane che hanno piano piano contribuito al rendere vero quello che era solo pensato, idealizzato, sognato e voluto. Il risultato è una grande ormai famiglia che segue, protegge, ama e cura questo film».

La conferma è giunta vibrante dagli interpreti. Valerio Morigi, che presta volto e corpo al padre-fantasma Marcello, ha distillato il sentimento della troupe: «i registi avevano un sogno che era estremamente forte, vero e pieno di passione. Loro sono stati in grado di travolgerci tutti con il loro sogni, e quindi è diventato un sogno comune».

Un sogno culminato in un'ultima scena già leggendaria. Girare l'addio finale l'ultimo giorno di riprese – evenienza rara nel cinema – ha innescato un collasso emotivo collettivo. Lo testimonia Nina Pons, interprete della fantasma Beatrice: «Noi abbiamo girato l'ultima scena del film, l'ultimo giorno di riprese, che è una cosa che non succede mai di solito... già eravamo provati perché venivamo da 7 settimane e mezzo di girato». I registi hanno proseguito: «Abbiamo detto: "Oggi portiamola a casa con dignità... non 'famo' che 'se spappolamo' emotivamente". «Niente. L'operatore piangeva... un abruzzese duro, capito? Che 'piagneva' come un vitello». La Pons ha concluso: «È stata un'esperienza quasi da gruppo di sostegno».

RIP - scena del film

Questa ebbrezza collettiva ha richiesto un visionario disposto a sostenerla economicamente. Cast e registi hanno individuato nel produttore Alessandro Gatto l'uomo che, di fronte alle proposte più audaci, ha risposto: «Non ti preoccupare, le tue follie 'te le pago'».

Follie divenute cifra stilistica del film. D'Ambrosi ha illustrato la scelta estetica che omaggia il cinema anni Ottanta di Zemeckis e Burton: la matericità. «Perché è un film che parla di qualcosa di non materico», ha spiegato, «e allora volevamo che invece quasi tutto fosse molto palpabile, molto materico, molto anche riferito a un cinema col quale siamo cresciuti».

Lo scenografo Federico Baciocchi ha confermato il dialogo costante tra i reparti, raccontando notti intere dedicate a demolire e ricostruire set, al punto da dormire in teatro. Ha poi svelato la logica cromatica: all'inizio il mondo del protagonista è desaturato, perché «è un uomo che ha perso proprio il senso dei colori delle cose. I fantasmi, con le loro tinte vivaci – verde, arancione, rosso – diventano letteralmente le pennellate che mancavano».

Il paradosso del film, colto da uno spettatore, risiede proprio qui: «Per ritornare lui alla vita, gli unici suoi interlocutori sono tre morti». Un percorso che sonda profondità esistenziali. Dal pubblico è emersa una riflessione intensa: RIP insegna che se «smetto di aver paura della morte, comincio a essere nel qui ed ora e comincio ad essere veramente felice». Santa De Santis ha accolto le parole con commozione: «Grazie davvero, perché era proprio quello l'intento». La regista ha poi sottolineato due ulteriori nuclei tematici. Il primo, rivolto ai giovani: «I genitori, prima di essere genitori, sono esseri umani e che possono avere delle fragilità e che possono sbagliare, che vanno perdonati». Il secondo, una critica alla contemporaneità: «Siamo sempre connessi però non stiamo in rapporto. Secondo me questo è un messaggio per i ragazzi importantissimo... com'è che lui trova la sua vitalità? Stando in rapporto con gli altri».

Un rapporto che ha richiesto un cast in stato di grazia. Maurizio Bousso, interprete di un ruolo definito straordinariamente complesso, ha raccontato la sfida tecnica ed emotiva del suo personaggio, costretto a ignorare i fantasmi: «Io non li vedevo... avevo Valerio [Morigi] a sinistra sullo specchietto così e dietro la Michelini con Nina... Chiaramente ho assorbito comunque la loro energia perché poi effettivamente Augusto [Fornari] si relaziona con tutti questi personaggi e quindi far finta di non vederli era una bella difficoltà».

E poi la musica. La scelta di Daniele Silvestri non è stata casuale. Per D'Ambrosi, Silvestri incarnava perfettamente l'anima di un dissacrante, ironico, protagonista romano». Un artista dotato di «tanta ironia e autoironia, la cui musica è intelligente, narrativa, è una musica ironica». 

L'incontro si è chiuso con un appello. RIP è un film che vive al di fuori delle logiche dei grandi budget e si affida interamente all'amore del pubblico, al passaparola. I registi hanno lanciato la loro sfida finale, formula già divenuta emblematica: «Se vi è piaciuto, ditelo agli amici. Se non vi è piaciuto, ditelo ai nemici. L'importante è che lo diciate a tutti».

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