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Il ventre d'Oro dell'Eternità: il canto delle Madri alle Scuderie del Quirinale

La mostra Tesori dei Faraoni a Roma svela il potere femminile nell'Antico Egitto. Scopri il legame tra le Regine, l'oro e l'eternità alle Scuderie.

Tra i "Tesori dei Faraoni", la luce di Roma incontra l'ombra del Nilo. un viaggio poetico tra Regine guerriere e Dee madri che custodivano il segreto della vita oltre la morte. 

[di Massimo Righetti]

Maschera funeraria di Amenemope

Lasciate che vi prenda per mano, qui, sulla soglia dove il frastuono della Roma moderna si spegne e inizia il tempo del mito. Alle Scuderie del Quirinalecon la mostra Tesori dei Faraoni, varcheremo la Porta d'Oriente e, oltre il cristallo delle vetrine, percepiremo un respiro antico. 

Si dice spesso che l'Egitto sia un dono del Nilo, che le sue acque fecondino la terra nera; eppure, camminando tra questi centotrenta capolavori, una verità più profonda ci investe con la forza di una rivelazione silenziosa: se il fiume nutre il suolo, è la donna a nutrire l'eternità. E il fiume stesso, in fondo, non è forse donna? Forse che non sono lacrime di dea quelle che ogni anno gonfiano le sue sponde, portando vita dove c'era arsura?

Gli antichi lo sapevano: quando Iside pianse sul corpo smembrato di Osiride, le sue lacrime divine divennero la piena del Nilo. Il fiume che feconda la terra nera è il pianto di una sposa, il dolore trasformato in benedizione. L'acqua che scorre è memoria femminile, è l'abbraccio — Anuket, la dea del fiume, significa proprio questo: "abbracciare" — che avvolge i campi come una madre avvolge il figlio. Nilo e donna, dunque, sono la stessa sostanza: grembo che accoglie, che trasforma, che genera.

In questo crepuscolo dorato, curato con dedizione da Tarek El Awady e Zahi Hawass, lo sguardo maschile del Faraone cede il passo a una potenza più antica e avvolgente. Gli antichi sapevano ciò che noi abbiamo dimenticato: l'oro sublima la sua natura minerale per divenire carne stessa degli dèi, incorruttibile e perfetta. E questa carne divina, in Egitto, ha spesso fattezze femminili.

Ahhotep
Ahhotep
Ahhotep
. La storia la ricorda come regina, ma l'oro che la adorna racconta un'altra verità. Tra i monili in esposizione, le "Mosche d'Oro" brillano nel crepuscolo della sala. Lungi dall'essere vezzi di vanità, esse incarnano l’insetto che non cede, che attacca senza sosta, simbolo di un coraggio militare feroce. Ahhotep, madre e vedova, nel momento in cui il caos degli invasori Hyksos minacciava di inghiottire Tebe e tutto l’Egitto, si è fatta scudo e spada. Lei, donna, ha ricevuto la massima onorificenza al valore perché ha compreso che per generare la vita bisogna talvolta essere pronti a difenderla con il sangue. Il suo sarcofago è un corpo mistico: le piume che lo ricoprono sono le ali di Nut, la grande dea del cielo.

Ed è qui, al cospetto di Nut, che si comprende il mistero. Per l'egizio, il cielo è una madre immensa inarcata sopra la terra. Ogni sera, Nut ingoia il sole morente, come il fiume ingoia la sete della terra, lo accoglie nel suo ventre oscuro, lo porta attraverso le dodici ore della notte per partorirlo di nuovo, insanguinato e vivo, all'alba. La morte si spoglia qui del suo volto di fine per assumere quello della gestazione. Ogni sarcofago in mostra, come quello splendido di Tuya, madre della Regina Tiye, un utero dorato che promette una nuova nascita. Tuya, con le mani incrociate sul petto e lo sguardo di ossidiana che fissa l'invisibile, stringe a sé il vaso d'alabastro, bianco come il latte, puro come la promessa che il suo nome, il suo Ren, non verrà mai cancellato.

Tuya
Tuya
La donna egizia è colei che ricorda, colei che ricompone. È il fiume che torna, anno dopo anno, fedele alla sua promessa. Basti pensare al mito fondante che pervade queste sale: quando Osiride fu fatto a pezzi dalla brutalità di Seth, fu Iside, la sposa, la maga, a cercare ogni singolo frammento. Fu lei a ricomporlo, a fasciarlo, creando la prima mummia. Se l'uomo può essere spezzato dalla storia, dalla violenza, dal tempo, è l'amore della donna, simboleggiato dal Tyet, il nodo sacro che vediamo sugli amuleti, a tenerlo insieme, a restituirgli la spina dorsale dritta, il Djed, affinché possa reggersi in piedi nell'aldilà. Senza Iside, non vi è Osiride. Senza la cura femminile, la morte sarebbe dispersione eterna.

Uscendo dalle Scuderie, mentre la luce di Roma ci accoglie di nuovo, ci si porta con sé il tintinnio immaginario dei gioielli delle principesse, quel suono ipnotico che sacralizzava i passi delle donne di palazzo e il battito di quel cuore femminile che ha pulsato per millenni sotto la sabbia. Come le acque del Nilo che scorrono da sempre, portando memoria e nutrimento, così l'anima femminile dell'Egitto continua a scorrere in noi. L'antico Egitto ci insegna che l'immortalità, piuttosto che una conquista della forza bruta, è un dono ricevuto da una Madre che, come il cielo notturno, come il fiume che non dimentica mai il suo corso, ha la pazienza di attendere l'alba per vederci rinascere.
E noi, pellegrini del tempo, siamo tutti figli di quel ventre d'oro, nati dalle lacrime di una dea che divennero fiume, e dal fiume che divenne vita.
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