Il Ritorno dei Re: perché le Nomination ai Grammy dei The Cure sono un evento storico

Dopo 24 anni, The Cure tornano ai Grammy. Un'analisi storica delle nomination per Songs of a Lost World e "Alone" per i fan.

Dopo 24 anni, la Recording Academy si è svegliata. L'analisi di Songs of a Lost World, di "Alone" e di una vittoria che è già nostra.

[di Sean Dags]

La notizia è di quelle che ti costringono a rileggere il titolo. I The Cure hanno ricevuto due nomination ai Grammy Awards.    

Sì, avete letto bene. Non è un errore di battitura. Dopo ventiquattro anni.  Un quarto di secolo di silenzio quasi ostile da parte della Recording Academy. Per noi, che siamo rimasti, che abbiamo consumato i nastri di Disintegration e che abbiamo visto Robert Smith e la band sfidare il tempo in tour trionfali, questa notizia ha un peso diverso. È un evento che trascende la semplice candidatura. È una forma di giustizia poetica. Le nomination sono arrivate per il Best Alternative Music Album con l'attesissimo Songs of a Lost World e per la Best Alternative Music Performance con il brano Alone. 

ASCOLTA The Cure - Alone

Analizziamo il contesto. L'ultima volta che l'Academy si accorse di loro fu nel 2001, con la nomination per Bloodflowers. Un album magnifico, certo, che chiudeva una trilogia ideale. Ma da allora, il buio. L'Academy ha completamente ignorato The Cure del 2004 e 4:13 Dream del 2008. E, cosa più importante, ha sempre trattato la band come una curiosità di genere, trascurando capolavori generazionali come Disintegration o Wish nelle categorie principali.

Per ventiquattro anni, i The Cure sono esistiti in una dimensione parallela: riempivano gli stadi di tutto il mondo, ma per l'industria discografica mainstream erano, di fatto, invisibili. Cosa è cambiato? È cambiato che Robert Smith ha consegnato al mondo un'opera impossibile da ignorare.

Songs of a Lost World non è un album "tardo" o un "ritorno". È un capolavoro. Dopo sedici anni di attesa, è un lavoro denso, cupo e di una bellezza straziante, acclamato dalla critica mondiale con un punteggio quasi unanime. Molti lo definiscono il loro lavoro più coeso e potente proprio da Bloodflowers, se non da Disintegration. È un album che parla di mortalità, di perdita e del peso del tempo.

L'Academy questa volta è stata costretta ad ascoltare. Ma la vera notizia, quella che fa battere il cuore a noi fan, è la seconda candidatura: Alone.    

Non hanno scelto un singolo radiofonico, anche perché non ce ne sono. Hanno scelto il brano d'apertura. Un'elegante, lussuosa elegia di sette minuti. La canzone che abbiamo imparato a conoscere e amare durante il tour mondiale del 2022-2023, quando ancora non aveva un titolo ufficiale. La traccia che, come ha detto Smith, ha "sbloccato" l'intero disco.

Hanno nominato il pezzo che inizia con la dichiarazione definitiva, quella che recita: Questa è la fine di ogni canzone che cantiamo. È la prova che qualcuno ha ascoltato davvero. Hanno capito il lutto, la profondità e la sincerità radicale dell'album.

Che vincano o meno, ha poca importanza. Robert Smith probabilmente alzerà le spalle con la sua solita grazia. Ma questo ritorno ai Grammy dopo 24 anni è una piccola, grande vittoria culturale.  È la conferma che la malinconia, quando è così pura e magistrale, non passa mai di moda. È l'industria che, finalmente, si è messa in pari con ciò che noi sapevamo da sempre.

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