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Il Drugo e la rivoluzione del Non Fare

Lebowski oggi: come il Dudeismo risponde alla "Grind Culture". L'analisi del "Quiet Quitting" e la filosofia del "take it easy" come antidoto.

Come un fannullone in vestaglia è diventato il profeta del 2025.

[di Massimo Righetti]

Il Grande Lebowski - Jeff Bridges

C'è un'immagine che emerge leggendo la lettera pubblicata ieri, 8 novembre, nella sezione culturale ‘My cultural awakening’ del Guardian e, a guardarla bene, è una mappa. Una cartografia del nostro tempo.

Una donna. Si chiama Banseka Kayembe. Ha un lavoro, uno di quelli seri, nel settore IT. Uno di quei mestieri dove passi la vita a spiegare al computer che esisti. Solo che lei quel lavoro lo detesta. Lo trova opaco, privo di bellezza. E poi c'è il capo. Uno di quelli che ti trasformano le giornate in sentenze.

È infelice. Ma insomma, chi non lo è? Tiene duro, perché così fan tutti.

E poi, una sera, l'illuminazione.

The guardian - the big lebowski
Guarda un film. Un film del 1998. Vede un uomo in vestaglia che attraversa il caos con l'eleganza di chi danza su ghiaccio sottile. Un paio di occhiali da sole perennemente appoggiati sul naso come uno stemma di famiglia. Un White Russian in mano come un rosario.

E lei, Banseka, lo guarda. E capisce. Capisce una cosa netta, assoluta, folgorante: meglio vivere disoccupata che morire impiegata.

E così, fa la cosa. Si licenzia. Punto. Senza un piano B. Ispirata dal Drugo. 

Sembra una follia, un aneddoto da aperitivo. Invece è una parabola. È il suono esatto di qualcosa che, nel nostro mondo iper-performante, si è finalmente, meravigliosamente spezzato.

Noi viviamo dentro un rumore. Un ronzio di fondo, costante come il frigorifero di notte. Lo chiamano Grind Culture. È quella liturgia che ci sussurra dall’asilo: produci. Corri. Ottimizza. Giustifica ogni respiro con una mail. Un'ideologia che ha trasformato le ferie in un privilegio, o peggio, in un peccato. E il riposo in un tradimento.

Riposare. Gesto sovversivo. Siamo arrivati qui.

E la gente, come ha reagito? In due tempi.

Prima, il colpo di teatro. Le Grandi Dimissioni, The Great Resignation. Milioni di persone che dopo lo schianto della pandemia si sono specchiate e hanno detto: la vita è troppo breve per questa recita. Hanno sbattuto la porta e se ne sono andati. Thank you and goodbye.

Poi è arrivato un movimento diverso. Più sotterraneo, quasi carbonaro. Il Quiet Quitting. È il gesto di chi resta ma spegne la luce. Non me ne vado, ma mi disimpegno. Faccio il minimo sindacale. Rifiuto di donare quel frammento d'anima che nessuno mi restituirà mai. È l’infelicità sussurrata di Thoreau trapiantata nell'open space. Una resistenza sfinita, passiva.

Ed è qui, in questo scenario di ribellione esausta, che Jeffrey "Il Drugo" Lebowski riemerge con la forza di una rivelazione. Con i suoi White Russian, il bowling e quel tappeto che, insomma, dava un tono all'ambiente.

Perché il punto è che il Drugo non fa Quiet Quitting perché semplicemente lui alla gara non si è mai nemmeno presentato. Ha rifiutato il gioco prima ancora che gli spiegassero dove stava la partenza. È un uomo con una disciplina filosofica rigorosa come quella di un monaco tibetano, solo che invece del monastero ha scelto la pista 12 del bowling. E onestamente, chi può dargli torto.

È il fondatore – involontario, certo, ma i profeti non scelgono mai – del Dudeismo. Una sorta di Taoismo filtrato attraverso panna e vodka. Gli altri lo guardano e vedono un relitto. Un fallito in ciabatte. Sbagliano tutto. Hanno davanti un uomo libero.

Lui non è in burnout perché ha capito una cosa: non puoi bruciare se non ti sei mai acceso per loro.  

E già questo, in un mondo dove sei quello che produci, è un atto di terrorismo poetico. Lui non vuole fare qualcosa. Vuole essere. E a tutto quello che la vita gli lancia addosso – nichilisti tedeschi con una puzzola, milionari truffaldini sulla sedia a rotelle, sceriffi che gli rovesciano il drink, tappeti profanati – lui risponde con una melodia sola. Semplice, geniale, definitiva:

Take it easy, man.

Stai calmo. Due parole. L'unico mantra che funziona ancora.

Quello che nel 1998, in piena sbornia neo-liberista, sembrava uno scherzo, il ritratto nostalgico di un reduce hippie, oggi, nel 2025, è diventato un passo del sutra del Shiddarta  che ti indica l’unica uscita di sicurezza praticabile di un palazzo in fiamme.

Ci hanno fatto credere che lavorare di più ti fa vincere la partita. Stupidaggini. La vera vittoria, rivoluzionaria lo ammetto, è uscire dal casinò. Sedersi. Guardare il mondo che brucia. Ordinare un altro White Russian o – se siete in un'osteria romana – un bel piatto di polpette al sugo con un bicchiere di rosso della casa da consumare in ottima compagnia. E lì, con infinita, luminosa, imperturbabile saggezza, semplicemente rimanere.

Il Drugo rimane.

Non fugge. Non lotta. Non si giustifica. Rimane. E in questo rimanere c'è una potenza silenziosa che somiglia a quella degli oceani. Qualcosa di quasi divino.

Noi lo sappiamo, nel profondo. Lo sappiamo nel 2025 meglio che mai. In questo stare calmi, in questo rifiuto gentile della frenesia, c'è più futuro, più intelligenza, più salvezza che in tutta la nostra disperata corsa verso il niente.

Il Drugo rimane.

E noi dovremmo imparare. Dovremmo sederci anche noi, ogni tanto. Dovremmo spegnere il ronzio. Dovremmo ricordarci che siamo vivi non quando produciamo, ma quando semplicemente, splendidamente, siamo. 

Take it easy, man.

È l'unica rivoluzione che vale ancora la pena di fare. Magari con un bel piatto di polpette al sugo.

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