Apocalypse Wine: Coppola brucia 120 Milioni per fare il Dito Medio alla Hollywood dei Ragionieri

Coppola vende le vigne per girare Megalopolis. Un gesto folle da 120 milioni che sfida la Hollywood dei franchise e dei calcoli algoritmici.

Ha venduto l'impero del vino per finanziare "Megalopolis". Un suicidio finanziario? No, l'ultimo ruggito di un Dio che preferisce la bancarotta alla noia dei franchise Marvel.

[di Alex M. Salgado]

C’è un odore inconfondibile che aleggia sopra le colline di Hollywood in questi giorni. Non è smog, non è botox bruciato e non è nemmeno la disperazione degli agenti a caccia del prossimo nepo-baby. È l'odore dei soldi dati alle fiamme. E a tenere in mano la tanica di benzina c’è un ottuagenario corpulento, con la barba bianca e lo sguardo di chi ha visto il cuore di tenebra e ha deciso di comprarlo. Francis Ford Coppola non ha semplicemente girato un film; ha commesso un atto di terrorismo economico contro il modello di business contemporaneo.

Parliamoci chiaro: in un'epoca in cui la Disney pianifica le sue uscite cinematografiche con la stessa creatività di un foglio di calcolo Excel, Coppola ha fatto l'impensabile. Ha venduto una fetta gigantesca del suo impero vinicolo in California. Ha liquidato le vigne, le bottiglie, l'eredità tangibile di una vita, per staccare un assegno da 120 milioni di dollari a sé stesso. Tutto questo per poter produrre Megalopolis, un'opera che nessuno studio voleva toccare nemmeno con una canna da pesca lunga tre metri.

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La "Città dei Sogni" è oggi governata da codardi in abito firmato che tremano all'idea di un film senza supereroi, senza sequel garantiti, senza un algoritmo che predica il successo nel secondo quadrante demografico. Hanno guardato Coppola e hanno visto un vecchio pazzo. Lui li ha guardati e ha visto dei burocrati senz'anima. E così, mentre la Warner Bros. cancella film già girati per ottenere sgravi fiscali, Coppola ha ipotecato il futuro dei suoi nipoti per costruire una favola romana retro-futurista disastro al botteghino.

Ed è qui che risiede la bellezza perversa e intellettuale di tutta l'operazione. Non importa se Megalopolis sia stato un capolavoro incompreso o un pasticcio kitch di proporzioni epiche. È irrilevante. Il film è un macigno lanciato contro la vetrina luccicante dell'industria. È l'antitesi del "contenuto" da piattaforma streaming. È cinema fatto con il sangue e il vino, non con i focus group.

I critici si sono divisi, il pubblico è confuso, ma i produttori sono terrorizzati. Sono terrorizzati perché Coppola ricorda loro cosa dovrebbe essere il cinema: rischio puro, allucinazione, arroganza sfrenata. Ricorda loro che un tempo i film erano diretti da artisti, non da comitati di gestione del rischio. Vendere il vino per fare arte è un concetto così alieno a Los Angeles che potrebbero classificarlo come disturbo mentale.

Francis si aggira per i festival come un imperatore decaduto, incurante delle risatine nervose degli executive che si chiedono come potrà mai rientrare dell'investimento. La risposta è semplice: non gliene frega niente. Ha comprato la sua libertà al prezzo di mercato, pagando in Cabernet e Merlot. In un mondo di franchise sterilizzati e politicamente corretti fino alla nausea, il suicidio economico di Coppola è l'atto più punk, vitale e ferocemente intelligente che abbiamo visto da decenni. Brindiamo al disastro, perché almeno questo disastro ha un'anima.

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