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Apocalisse a Marrakech: la guerra santa del Cinema contro i robot e i mobili IKEA

Il cinema dichiara guerra all'IA: Bong Joon-ho vuole distruggere i server. Ma un errore tragicomico in una serie TV svela la verità.

Mentre Jenna Ortega e Bong Joon-ho sognano milizie armate per fermare l'IA, Hollywood investe 12 miliardi per lobotomizzare l'arte. E intanto, un comodino svedese appare nell'antica India.

[di Alessandro Massimo]

mahabharat-ek-dharmayudh

A Marrakech stanno affilando i coltelli, lame retoriche brandite dall'ultima linea di difesa dell'umanità contro l'invasione dei ladri di corpi digitali. Il 22° Marrakech Film Festival si è trasformato in un bunker ideologico dove le star non promuovono film, ma la sopravvivenza della specie creativa. La tensione è palpabile, un filo elettrico scoperto che attraversa la sala conferenze e frigge i nervi di chiunque abbia ancora un battito cardiaco invece di un processore.

Jenna Ortega
Jenna Ortega, seduta in giuria con l'aria di chi ha appena visto il futuro e ha deciso che fa schifo, ha sganciato la bomba. L'intelligenza artificiale è "cibo spazzatura per la mente". Un mental junk food che promette sazietà ma consegna solo nausea. L'attrice ha dipinto un quadro terrificante: platee di zombie ingozzati di perfezione sintetica fino al rigetto fisico, disperati per un briciolo di errore umano, di quella frizione sgradevole e necessaria che rende l'arte viva. Per Ortega, abbiamo scoperchiato il Vaso di Pandora  e quello che ne è uscito non ha un'anima, ma solo un codice binario che imita la vita senza capirla.   

Accanto a lei, Bong Joon-ho ha alzato la posta. Il regista di Parasite ha bypassato la diplomazia per andare dritto alla guerriglia urbana. Dietro la facciata istituzionale, cova un piano che farebbe impallidire un villain di Bond: organizzare una squadra militare per distruggere l'IA in tutto il mondo. Immaginatevelo, mimetica e detonatori, mentre fa saltare in aria i server farm della Silicon Valley

Celine Song
Ma è stata Celine Song a portare l'attacco su un livello quasi teologico. La regista non si è limitata al dissenso; ha evocato lo spirito di Guillermo del Toro, il santo patrono dei mostri, citando il suo mantra definitivo: "F*ck AI". Song ha canalizzato la filosofia radicale del maestro messicano, quello che ha giurato di "morire piuttosto che usare l'IA", ricordandoci che l'arte esiste solo nella connessione biologica e imperfetta tra il cervello e la mano umana. Per Song e Del Toro, l'IA è una forza colonizzatrice. Non vuole solo aiutarci a girare scene, vuole occupare la nostra immaginazione, piallando le asperità dell'esperienza umana fino a renderla una pappa omogenea e digeribile, priva di quel dolore e di quella bellezza che nascono solo dalla fatica manuale.  

Ma ecco il paradosso, crudo e sanguinoso. Mentre gli artisti urlano il loro terrore sacro, i contabili di Hollywood stanno firmando assegni in bianco al nemico. I report di questi giorni parlano chiaro: 12,5 miliardi di dollari entro il 2029. Le major stanno comprando la corda con cui impiccare l'autorialità, automatizzando tutto, dal casting al montaggio, in nome di un Dio chiamato "Efficienza".   

Il risultato di questa schizofrenia industriale? Un disastro epico, letteralmente. Guardate la serie Mahabharat: Ek Dharmayudh. Doveva essere il trionfo della tecnologia indiana, un kolossal generativo. Invece, nel bel mezzo di un poema epico millenario, l'algoritmo ha deciso di piazzare un comodino in stile IKEA accanto a un letto reale. Un'allucinazione scenografica. Un glitch temporale che urla l'idiozia della macchina. L'IA non sa cosa sia l'India antica, conosce solo la geometria dei mobili moderni.   

Siamo ostaggi di questo delirio: da una parte l'umanesimo armato di Bong e la filosofia viscerale di Del Toro che difendono l'anima dell'arte; dall'altra un'industria che corre veloce verso il futuro inciampando nei propri lacci. La guerra è iniziata, ma a giudicare da quel comodino svedese nell'antica India, forse il nemico non è invincibile come temiamo: è solo una macchina potentissima che non ha ancora capito cosa significhi, davvero, essere vivi.

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