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Paola Lavini: Intervista a un'attrice totale. Dal Musical a Volevo Nascondermi, l'architettura di un talento poliedrico

Intervista esclusiva a Paola Lavini. la sua carriera, dal musical al cinema d'autore, della sua maestria con i dialetti e dei suoi progetti futuri

Incontro con Paola Lavini, l'artista che ha reso la versatilità il suo marchio di fabbrica. Dalla disciplina del palcoscenico con Proietti alla candidatura al Globo d'Oro, esploriamo i segreti di un'attrice che naviga con maestria tra cinema d'autore, commedia e produzioni internazionali. 

[di Redazione]

Nel cinema italiano contemporaneo, definire un artista "a 360 gradi" può suonare come un cliché. Tuttavia, poche figure incarnano questa etichetta con la coerenza e la profondità di Paola Lavini. La sua non è una semplice carriera, ma una vera e propria architettura del talento, costruita con disciplina, intelligenza strategica e una passione viscerale. Lavini è l'attrice che ha saputo creare una sintesi preziosa tra il rigore del teatro musicale e una presenza cinematografica camaleontica, capace di abitare con la stessa credibilità il cinema d'autore più esigente, la commedia popolare e i set internazionali.

Lungi dall'essere una  interprete costruita a tavolino, la sua versatilità poggia su fondamenta solide: una formazione ferrea, prima all'Accademia d'Arte Drammatica della Calabria e poi alla prestigiosa Bernstein School of Musical Theatre di Bologna , e un'etica del lavoro nata dalla gavetta. Il palcoscenico, condiviso con maestri come Saverio Marconi, Massimo Romeo Piparo e il leggendario Gigi Proietti, non è stato un punto di partenza, ma una palestra continua che le ha fornito un "triathlon artistico" di recitazione, canto e danza.

Questa disciplina si è rivelata l'arma segreta del suo successo cinematografico, culminato nella candidatura al Globo d'Oro 2020 come Miglior Attrice per il ruolo di Pina in Volevo nascondermi di Giorgio Diritti. Un riconoscimento che non è stato un caso, ma il punto di arrivo di un percorso ventennale che l'ha vista collaborare con registi del calibro di Francesco Munzi (Anime nere), Alice Rohrwacher (Corpo celeste), Kim Rossi Stuart (Brado) e Marco Bellocchio. Oggi, mentre si prepara al lancio internazionale del thriller psicologico Ferine (Beasts of Prey), abbiamo l'opportunità di dialogare con lei per svelare i segreti della sua arte.

La tua carriera affonda le radici nel musical, un mondo che esige una disciplina totale. In che modo l'aver lavorato con giganti come Proietti, Marconi e Piparo ha plasmato non solo la tua tecnica di attrice, ma anche la tua etica professionale e il tuo modo di affrontare la "giungla" del set cinematografico, che ha ritmi e dinamiche completamente diverse?

Veramente non ho un a risposta precisa, se non il fatto che per me non c’è questa differenza tra questi ‘mondi’.  Io li ho frequentati e li frequento entrambi, con la stessa disciplina e la stessa etica. Ho sempre pensato e penso che l’attore debba fare più cose possibili ed essere trasversale. Lo so che spesso in Italia non è proprio così, però in altri paesi e dentro di me sì! Lo so, mi sono complicata la vita! Però in realtà io nasco come cantante! E quindi mi è stato naturale passare al musical. Così come mi è sembrato naturale passare al cinema alla ricerca di espressioni nuove che è un po’ il mio pregio, ma anche il mio difetto. Sono una stacanovista, ma anche una perfezionista, ma anche una secchiona, ma anche curiosa! Con tanta voglia di fare arrivare al pubblico un risultato autentico e naturale.

Anime Nere

La tua filmografia è un esempio quasi unico di equilibrio tra il cinema d'autore più rigoroso, penso ad Anime Nere o Volevo nascondermi, e le commedie di successo popolare. Nella scelta del personaggio da interpretare ti lasci guidare semplicemente dall'istinto, dalle storie e dai personaggi che ti appassionano in un dato momento?

Premesso che non scelgo, ma mi scelgono, a me piacciono tutti i generi!  Posso piangere e fare piangere, e ridere e fare ridere. Del resto, il musical abbraccia tutto questo (dalla commedia al dramma) e la mia musa è Monica Vitti! Dopo questa premessa. Mi piace il cinema d’autore che mi appartiene ed a cui appartengo. Lo ricerco anche senza accorgermene.

Volevo Nascondermi
La tua padronanza dei dialetti è diventata una vera e propria cifra stilistica. Dal calabrese di Corpo Celeste al romagnolo di Soldato Semplice, fino all'emiliano per cui hai ottenuto la nomination al Globo d'Oro. Quando lavori su un dialetto, lo consideri principalmente uno strumento tecnico per raggiungere l'autenticità quasi documentaristica o, piuttosto, un veicolo per accedere alla musicalità e all'anima più profonda di un personaggio?

Intanto praticamente nessuno sa esattamente da dove vengo (forse neppure io, perché ho origini varie). Il dialetto lo amo molto perché come dici tu, apporta assolutamente una verità al personaggio e sul dialetto lavoro in modo maniacale. Mi appello al detto ‘parla come mangi’.  La cosa bella è che i dialetti li studio, ma poi non li perdo, rimangono in me. Così posso usarli in modo naturale su molti set (ma anche nella vita privata!)

Oggi sei sempre più impegnata in produzioni internazionali, come il recente thriller Ferine, recitato interamente in inglese. Qual è stata la sfida più grande nel recitare in una lingua che non è la tua?

Sicuramente recitare in lingua straniera con colleghi e colleghe madrelingua è di per sé una grande impresa, una grandissima sfida soprattutto perché non c’è praticamente mai tempo di provare!  E soprattutto se non c’è il coach madrelingua sul set! Ho lavorato anche in francese in diverse occasioni ed è sempre bello, ma è una grande prova. Sapere ascoltare e capire! i colleghi che sono madrelingua ma con diversi accenti e slang: ecco, questa è una grande sfida.

Hai espresso il desiderio di lavorare con registi come Sorrentino e Almodóvar e di interpretare ruoli femminili ancora più complessi e sfaccettati. Se avessi una tela bianca e potessi disegnare da zero il tuo ruolo ideale, che tipo di donna vorresti raccontare oggi e quale storia le faresti vivere?

Callas
Guarda, ti stupirò con effetti speciali (o con colori speciali). In me c’è la voglia di fare una donna (io) che fa un trans che fa la donna (mi sono capita solo io?). Questo per complicarmi la vita ancora una volta. 
Però il mio mito è la Callas, l’ho un po’ rappresentata in una fiction Rai. Lo so, l’hanno già rappresentata in tante (anche ultimamente), ma ce l’ho qua! Forse potrei trovare ancora altre sfaccettature di questa diva. Di Maria. Della Callas. Siamo fisicamente simili (se mi raccolgo i capelli), canto, ed abbiamo anche molti tratti in comune nelle nostre vite. Ecco sicuramente mi piacerebbe raccontare la sua vita fin da giovane. Da quando era bella ‘in carne’.
Mi piacerebbe anche fare una commedia (divertente) con i colori di Almodovar (‘Volver’ ha reso magnifica la Cruz).
Mi piacerebbe raccontare la storia di gente ‘normale’ come mia nonna che ha fatto sei figli durante e dopo la Seconda guerra mondiale, con un marito partigiano nascosto tra i monti. Una donna che mi raccontano sia riuscita a salvare il nonno dai tedeschi. Una donna forte. Tanta povertà, tanta difficoltà a mantenere i figli, tanto da doverli dividere tra i vari fratelli e sorelle più abbienti per un periodo della loro vita. Mio padre. Tanta violenza e non vado oltre. Ecco mi piacerebbe riscattare mia nonna Paola (ne ho preso il nome) e tante altre donne come lei. Ma anche me stessa (ma la mia storia te la racconterò in un altro capitolo).
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