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Islands: Recensione di un noir esistenziale che brucia lentamente sotto il sole delle Canarie

Islands: il film di Jan-Ole Gerster con Sam Riley è un thriller psicologico d'atmosfera che divide. Un noir lento che sfida le convenzioni

Presentato a Villa Medici, il film di Jan-Ole Gerster con un superbo Sam Riley è un'opera d'atmosfera che decostruisce il thriller, mettendo a dura prova la pazienza dello spettatore.

[di Alex M. Salgado]
Stacy Martin, Sam Riley - Islands

Tra i pini secolari e i marmi preziosi di Villa Medici, dove da tempo immemore arte e cultura intrecciano i loro destini, si è spenta ieri sera l'ultima edizione del Festival di Film di Villa Medici. A sigillare la manifestazione, dopo le consuete premiazioni, Islands del regista tedesco Jan-Ole Gerster: un'opera che ha trasportato nell'incanto romano il sole abbacinante e la vacuità esistenziale delle Canarie.

Il film si dischiude su Tom—Sam Riley in una prova di rara intensità, forse la più penetrante dai tempi di Control—ex tennista di talento ora relitto umano in un resort di Fuerteventura. La sua esistenza si articola in rituali meccanici: lezioni impartite a turisti distratti, notti dissolte nell'alcol, risvegli in letti sempre diversi. Questo motivo ricorrente diventa cifra visiva di un tragico circolo vizioso. Riley plasma con straordinaria corporeità tale devastazione interiore: il suo è un personaggio scolpito più dai silenzi e dagli sguardi smarriti che dalle parole, uomo trasformato in turista della propria vita.

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Islands
A incrinare questa stagnazione sopraggiunge una famiglia inglese: Dave (Jack Farthing), la cui tracotanza si respira nell'aria, il piccolo Anton e Anne, interpretata da una Stacy Martin magnetica quanto impenetrabile. Anne incarna una moderna "bionda glaciale" hitchcockiana, enigma in movimento dalla calma inquietante. Le sue vere intenzioni rimangono ostinatamente celate, persino quando la vacanza vira verso l'ombra con la misteriosa sparizione del marito.

È qui che Jan-Ole Gerster compie la sua scommessa più temeraria e, per alcuni aspetti, controversa. Anziché premere sull'acceleratore del thriller, il regista ne smantella metodicamente le fondamenta. Il mistero della scomparsa si trasforma in pretesto, un MacGuffin hitchcockiano il cui fine non è la soluzione, bensì l'innesco di una più profonda ricognizione dell'animo umano. Il film devia consapevolmente verso un territorio psicologico più sfuggente, concentrandosi su un altro arcano, assai più sottile e irrisolto: la possibile paternità di Tom rispetto al piccolo Anton. Questa sottotrama, accennata con suprema delicatezza, costituisce il vero nucleo pulsante dell'opera, benché la sua raffinatezza rischi di smarrirsi in un incedere eccessivamente dilatato.

Islands- Poster Ufficiale
La scelta di anteporre l'atmosfera alla narrazione rende la sezione mediana del film talvolta ridondante, stemperando quella tensione così accuratamente edificata. Si tratta di un'opera a combustione lenta, uno slow burn risoluto che esige pazienza e la disponibilità ad abbandonare le certezze di genere per un'esperienza più meditativa.

Dove il film non tradisce le aspettative è nell'impeccabile fattura estetica. La fotografia di Juan Sarmiento G. si rivela superlativa, trasmutando il paesaggio aspro e vulcanico di Fuerteventura in autentico personaggio, correlativo oggettivo della desolazione interiore dei protagonisti. La partitura di Dascha Dauenhauer, evocativa e sinistra, amplifica il senso di una minaccia invisibile, riecheggiando i grandi maestri del noir come Bernard Herrmann.

In definitiva, Islands si configura come opera tanto affascinante quanto esasperante. Film cerebrale e atmosferico che gratifica lo spettatore disposto a immergersi nel suo languore, ma che rischia di deludere chi ricerca un thriller più ortodosso. Gerster ha il coraggio di frustrare le aspettative, tuttavia in questo processo sacrifica talvolta ritmo e tensione narrativa, consegnandoci un'opera che, pur visivamente e psicologicamente ricca, non riesce a liberarsi di una certa, pervicace inerzia.

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