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Il Peso dell'Inesplicato: Jim Jarmusch e l'Arte del Sottinteso

Recensione di FATHER MOTHER SISTER BROTHER di Jim Jarmusch, Leone d'Oro a Venezia. Un'analisi della sua poetica del silenzio e del non detto.

Nel Leone d'Oro veneziano, il maestro americano trasforma il silenzio in linguaggio cinematografico, orchestrando una partitura di non-detti che raggiunge vette di rara intensità emotiva.

[di Alex M. Salgado]

Father Mother Sister Brother

Nelle sale del Cinema 4 Fontane di Roma, attraverso la pregevole rassegna Venezia a Roma e nel Lazio, approda il film che ha conquistato il Leone d'Oro all'ultima Biennale: Father Mother Sister Brother di Jim Jarmusch. Distante dalle urgenze spettacolari e dalle retoriche di altri titoli in gara, il regista statunitense ha offerto al pubblico un film tranquillo, un dichiarato "anti-action film". È precisamente in questa apparente quiete, in questa studiata economia di effetti, che l'opera dischiude la propria straordinaria potenza: una sinfonia di vuoti eloquenti che parla con più forza di qualsiasi proclama.

GUARDA IL TRAILER: FATHER MOTHER SISTER BROTHER | Official Teaser Trailer

Il nucleo vitale del film risiede in una poetica dell'inarticolato di rara maestria. Jarmusch edifica la propria narrazione non attraverso le parole, ma negli interstizi che esse dischiudono, negli spazi di risonanza che generano. Le conversazioni si configurano come iceberg narrativi: la sostanza autentica giace sommersa, invisibile eppure dominante. Le visite familiari si trasformano in cerimoniali di una cortesia quasi liturgica, teatro di un disagio che si fa materia tangibile. Ogni pausa gravida di imbarazzo, ogni gesto impacciato porta l'eredità di anni di storia taciuta. Lo spettatore è chiamato a sostare in questo vuoto pregnante, a decifrare lo spartito di sguardi e sorrisi spezzati, testimone di una verità emotiva che si manifesta per sottrazione. Il non-detto non costituisce un'assenza: è presenza attiva, cicatrice che arde, memoria che grava.

Father Mother Sister Brother
Questa architettura del silenzio trova sostegno in un cast di grazia cristallina, capace di una recitazione trattenuta e di finezza assoluta. Le prove di Tom Waits, Charlotte Rampling, Adam Driver e Cate Blanchett raggiungono un'uniformità di eccellenza, modulate con tale delicatezza che il minimo sussulto di sguardo o la più breve esitazione portano il peso di un'accusa o il carico di una confessione. Non occorrono monologhi o scene madri: tensione e malinconia si sedimentano nei dettagli, nella preparazione di un tè che non riscalda i rapporti, in un Rolex, autentico o contraffatto, che simboleggia un tempo mendace e una verità genitoriale inattendibile.

La struttura a trittico, che alcuni potrebbero percepire come disgregata, serve invece a consolidare questo discorso. Il passaggio netto tra le storie ambientate nel New Jersey, a Dublino e a Parigi impone allo spettatore di sperimentare la medesima dislocazione emotiva dei protagonisti. La frammentazione narrativa diviene così lo specchio formale della disgregazione familiare. Jarmusch nega il conforto di un racconto unitario perché la famiglia, nel suo cinema, è arcipelago di solitudini che condividono unicamente il medesimo mare di sangue.

Father Mother Sister Brother è opera di maturità che sussurra anziché proclamare, confidando nell'intelligenza del proprio pubblico. È film da degustare, che esige pazienza e attenzione per dischiudere la propria profonda e lacerata umanità. All'uscita dalla sala non si conserva una trama da narrare, ma una risonanza: il peso eloquente di tutto ciò che, tra genitore e figlio, non necessiterà mai di essere proferito per essere inteso.

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