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L'Ipocrisia dei Bulli Adulti: Quando il Gossip diventa un Sabotaggio Educativo

Il bullismo degli adulti sui social, dai Coldplay a Bova, è un sabotaggio educativo. Un'analisi sull'ipocrisia che mina l'educazione alla cittadinanza

Il nostro magazine non tratta gossip, ma i recenti linciaggi mediatici contro la coppia al concerto dei Coldplay e Raoul Bova ci obbligano a un'eccezione. Una riflessione sul pericolo che il comportamento degli adulti rappresenta per chi, come me, lavora ogni giorno per educare i giovani al rispetto e alla cittadinanza digitale.

[di Massimo Righetti]

Il nostro magazine, per scelta editoriale, ha sempre evitato il gossip, preferendo dedicarsi ad approfondimenti culturali. Oggi, però, facciamo un'eccezione. La facciamo perché esiste un pericolo imminente che minaccia il lavoro di chi, come me, si impegna quotidianamente in progetti di cinema a scopo sociale nelle scuole, collaborando con un esercito di docenti, il Ministero dell'Istruzione e del Merito e il Ministero della Cultura.

Lavoriamo a progetti virtuosi partendo da proiezioni di film con forti tematiche sociali per affrontare aspetti critici per l'educazione dei nostri ragazzi tra i quali il bullismo e il revenge porn, nel tentativo di armare i giovani con strumenti critici. Ma poi torno a casa, apro i social e mi assale una domanda che si fa ogni giorno più pressante: come possiamo educare un giovane a non insultare, a non violare la privacy, quando assiste ogni giorno a spettacoli di bullismo di massa perpetrati proprio da quegli adulti che dovrebbero essere i suoi modelli?

I recenti episodi che hanno travolto prima una coppia ripresa durante un concerto dei Coldplay, poi l'attore Raoul Bova per un audio privato, non sono semplice cronaca rosa. Sono i sintomi acuti di una patologia sociale, la manifestazione di un tribunale popolare che agisce con la ferocia del bullismo più sistematico. Assistiamo a una sceneggiatura quasi rituale che trasforma l'umiliazione in spettacolo.

Tutto inizia con un momento privato, decontestualizzato e dato in pasto alla folla. Interviene poi un potente amplificatore – una celebrità rock, un personaggio mediatico – che fornisce alla folla la chiave di lettura, incorniciando la narrazione. A quel punto, la piazza digitale si trasforma in un'agenzia investigativa che pratica il  doxing: la diffusione di dati personali per spogliare le vittime della loro privacy, identificandole e svelando dettagli sensibili. Infine, si scatena l'accanimento di massa: meme crudeli come "Cornplay", parodie, giudizi morali e insulti. Le conseguenze non sono virtuali, ma reali e devastanti: sospensioni dal lavoro, dimissioni e indagini penali per tentata estorsioneLa vittima non è più una persona, ma un bersaglio astratto su cui proiettare frustrazioni collettive. Vite spezzate per l'intrattenimento di massa.

Viene da chiedersi perché. Perché persone adulte, con famiglie e responsabilità, si trasformano improvvisamente in giudici implacabili davanti a uno schermo? Protetti dall'anonimato virtuale, sembriamo autorizzarci comportamenti che non oseremmo mai nella vita reale. Come se la distanza fisica cancellasse ogni considerazione umana. Forse è proprio questa la chiave: dietro lo schermo, l'altro non è più una persona ma diventa un personaggio, un bersaglio astratto su cui scaricare frustrazioni che nulla hanno a che vedere con lui. La gogna digitale offre un palcoscenico perfetto per esibirsi in una presunta superiorità morale, per sentirsi dalla parte giusta della storia senza dover guardare negli occhi chi si sta ferendo. È il trionfo dell'indignazione a buon mercato: costa poco, dà grandi soddisfazioni e non richiede alcuna responsabilità.

E qui si arriva al cuore del problema, alla grande ipocrisia. Nelle scuole, grazie a leggi come la 71/2017 sul cyberbullismo e a percorsi di Educazione Civica, si insegnano ai ragazzi il rispetto, l'inclusione e la responsabilità. Poi, però, quegli stessi ragazzi escono dall'aula e vedono gli adulti praticare l'esatto contrario. Mentre la scuola insegna a non condividere dati privati, gli adulti fanno doxing di massa; mentre si promuove l'empatia, gli adulti si divertono con meme denigratori.

Questa contraddizione è un vero e proprio atto di sabotaggio educativo. Gli sforzi di un intero sistema formativo vengono vanificati da quello che possiamo definire un "curriculum non ufficiale dell'ipocrisia adulta", più pervasivo e potente di qualsiasi lezione in classe. La lezione che i giovani apprendono non è quella del rispetto, ma del cinismo: le regole valgono a scuola, ma nel mondo reale vince la crudeltà.

Cosa fare, dunque? Rassegnarsi a questo cinismo? Forse la soluzione è capovolgere il modello educativo. Dobbiamo continuare il lavoro vitale nelle scuole, ma con uno strumento in più: trasformare la nostra frustrazione in un atto pedagogico. Invece di limitarci a proteggere i giovani dagli adulti, dobbiamo dare loro gli strumenti per analizzare criticamente il comportamento degli adulti stessi.

Immaginiamo percorsi didattici in cui gli studenti decostruiscono i meccanismi della gogna mediatica, imparando a riconoscere le tattiche psicologiche usate dalle folle online. In questo modo, non subirebbero passivamente l'ipocrisia, ma la capirebbero, la criticherebbero e la sfiderebbero, diventando agenti di cambiamento capaci di "educare verso l'alto". L'idealismo dei giovani, invece di essere soffocato, può diventare la forza motrice per costruire una cultura digitale più empatica.

La battaglia per una rete migliore, forse, non si vince proteggendo i figli dai padri, ma dando ai figli gli strumenti per educare i padri stessi.

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