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Familia: L'orrore della normalità e la liberazione di un abbraccio, incontro con Francesco Costabile

Incontro esclusivo con Francesco Costabile. Il regista di Familia discute il film, la violenza di genere e la sconvolgente storia di Luigi Celeste

Il regista si è confrontato con il pubblico romano dopo la proiezione di un film che non lascia scampo. Un'analisi profonda e necessaria sulla genesi dell'opera, la mascolinità tossica e il ruolo liberatorio del cinema, partendo dalla storia vera di Luigi Celeste.

[di Alex M. Salgado]

Francesco Costabile

In una sera d'estate romana, al Cinevillage Villa Lazzaroni, il silenzio del pubblico è stato più eloquente di qualsiasi applauso. Durante la proiezione di Familia, non volava una mosca. È questo l'effetto del cinema di Francesco Costabile: un pugno nello stomaco necessario, un'immersione in una realtà che si preferirebbe ignorare ma che pulsa, letale, dietro le porte di troppe case. Moderato da Massimo Righetti, l'incontro con il regista dopo il film ha trasformato la visione in un'occasione di riflessione collettiva, svelando il processo creativo e l'urgenza umana dietro un'opera tra le più significative del panorama cinematografico italiano del 2024.

Familia è un'opera che sfugge a facili classificazioni. Tratto dalla storia vera e dal libro autobiografico di Luigi Celeste, "Non sarà sempre così", il film è un melodramma nero che contamina il dramma sociale con le tensioni del thriller psicologico e l'estetica claustrofobica dell'horror. Racconta il percorso di Luigi (un superbo Francesco Gheghi, premiato ala Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia), un ragazzo cresciuto sotto il regno di terrore del padre-padrone Franco (un terrificante Francesco Di Leva, vincitore del David di Donatello e del Nastro d'Argento), e la sua disperata lotta per salvare la madre Licia (un'intensa Barbara Ronchi) da un femminicidio annunciato. Nel dialogo con il pubblico, Costabile ha illuminato le scelte e le necessità che hanno dato vita a un film così brutale e potente.

La genesi del film, ha spiegato il regista, si lega indissolubilmente alla sua opera prima, Una Femmina (2022):

Quel film era ispirato alle storie delle donne della Ndrangheta - ha raccontato Costabile - ma presentando il film mi sono accorto che c'era una necessità da parte del pubblico di parlare di violenza familiare, psicologica, fisica, al di fuori di quella che può essere la cornice della criminalità organizzata. La violenza di genere, infatti, è un fenomeno trasversale a tutte le culture, a tutti gli stati sociali. Da qui la ricerca di una storia più universale, trovata nel libro di Luigi Celeste con l'obiettivo di avvicinare questa dimensione a una situazione più tra virgolette normale possibile.

Massimo Righetti, Francesco Costabile
L'orrore di Familia non si annida ai margini della società, ma nella quotidianità di una periferia operaia. Il "mostro" Franco non si presenta come tale, ma sa essere seducente, sa scherzare, sa ingannare. "È parte della manipolazione", ha sottolineato il regista, "ed è parte di una strategia di un uomo violento che non si presenta alle vittime come l'orco cattivo e basta, ma si presenta con una apparente normalità". Una comprensione del fenomeno affinata non solo dal dialogo con la famiglia Celeste, ma anche grazie al confronto costante con i centri antiviolenza.

Questa doppiezza è stata la chiave anche nella costruzione del cast. Francesco Di Leva è stato il primo attore scelto, proprio per la sua capacità di incarnare questa "doppia natura": "un attore che riesce a essere estremamente inquietante, duro, ha una mascolinità tossica che emerge, però è anche un un attore che ha altre sfumature, ha una sua seduzione". La scelta è maturata dopo averlo visto in Nostalgia di Mario Martone, ma è stata sigillata da un incontro personale che ha rivelato l'umanità dell'attore: "Non si è presentato da attore, ma si è presentato subito da amico. Abbiamo fatto un giro motorino, mi ha fatto vedere il panificio dove ha lavorato una vita. Mi ha mi ha conquistato la sua umiltà e quindi l'ho preso a scatola chiusa senza neanche un provino".

Per Luigi, la scelta è ricaduta su Francesco Gheghi per un motivo analogo: "Da un lato ha questo nervosità, questa rabbia che è molto vicina al personaggio, ma è anche molto dolce, ha questi occhi molto teneri". Una fragilità essenziale per creare empatia con un personaggio complesso, che a sua volta assorbe e replica la violenza paterna. Barbara Ronchi, invece, "ha fatto un provino perché volevo essere sicuro che anche lei riuscisse ad avere un doppio registro. Volevo che in qualche modo fosse anche una donna che che ha della rabbia e che la fa esplodere, ad esempio, nella scena in cui strappano i bambini. È una che si aggrappa con le unghie ai suoi figli". Il casting si è completato con un lavoro durato sei mesi, che ha incluso anche attori non professionisti per i ruoli dei giovani fascisti: "Quelli sono presi dalle palestre di box, dai calcetto, sono tutti ragazzi di borgata che abbiamo trovato facendo street casting".

GUARDA IL TRAILER DEL FILM: https://www.youtube.com/watch?v=WEjciZ_iOWA

Il cuore pulsante del film, infatti, è la dinamica tra padre e figlio, un legame giocato "sul doppio, su questa attrazione, repulsione tra questi due mondi". Luigi è scisso tra la mascolinità tossica del padre e la speranza di liberazione portata dall'amore per Giulia (Tecla Insolia). Il tragico finale, un parricidio liberatorio, è anche l'ultima trappola del padre: "è come se con questa morte lui volesse dimostrare a se stesso che suo figlio è come lui, cioè un uomo violento".

Questa conclusione estrema solleva una riflessione impietosa sul fallimento delle istituzioni. 

"La riflessione reale profonda", ha affermato Costabile, "è riflettere su come le famiglie che vengono abbandonate a se stesse, abbandonate dalle istituzioni, dallo Stato, sono famiglie dove poi prima o poi esplode la tragedia". 

Ha poi contestualizzato la vicenda negli anni in cui si svolge, tra il 1998 e il 2008, "anni molto bui in cui non esisteva la legge sullo stalking, quindi qualsiasi tipo di violenza psicologica o atti persecutori non erano neanche denunciabili".

Alla domanda di uno spettatore che ha definito il film un "horror psicologico", Costabile ha confermato la sua passione per il genere, nata come spettatore proprio "con l'horror". "Mi piace che partire dalla realtà e poi usare generi cinematografici per [...] raccontare la realtà in maniera più profonda". Questo approccio stilistico, che si avvale della fotografia claustrofobica di Giuseppe Maio e del montaggio premiato di Cristiano Travaglioli, non tradisce mai la verità della storia. "Tutto assolutamente vero", ha insistito il regista, "ogni scena che io descrivo è realmente successa. Di fantasia non c'è praticamente nulla".

L'incontro si è concluso con un aneddoto toccante e rivelatore, che racchiude il senso ultimo e il potere catartico del film. Costabile ha raccontato della madre di Luigi, Licia, recentemente scomparsa. "Alla domanda su come si fosse sentita dopo la morte del suo aguzzino, lei rispose: "Mi sono sentita per la prima volta libera. Eppure, in una dolorosa contraddizione, Licia dormiva con la foto di Franco di fianco al letto". È stato il film a compiere il miracolo finale. 
"Ma sai che mamma", gli ha confidato Luigi, "dopo che ha visto il film per la prima volta ha tolto la foto di papà dal letto, dal comodino?". Un gesto silenzioso, potentissimo. Forse - ha concluso Costabile - questo film in qualche modo è stato veramente liberatorio per lei. Forse mi fa intuire che dentro di sé ha chiuso definitivamente con quell'uomo dopo essersi vista raccontata. Forse ha dato un senso al dolore perchè - come ha detto il regista - un film resta". 
E Familia resterà, come un monito e, per qualcuno, come un difficile, necessario, primo respiro di libertà.

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