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Sirât: L'Odissea Mistica di Oliver Laxe Infiamma Cannes e Scuote le Coscienze

Sirât di Oliver Laxe: recensione del film evento a Cannes 2025. Un'odissea mistica e techno tra Mad Max e Tarkovskij. Da vedere assolutamente.

Il nuovo film di Oliver Laxe, Sirât, presentato in anteprima mondiale al Festival di Cannes 2025, rappresenta un evento cinematografico di rara intensità e un serio candidato alla Palma d'Oro. La Recensione di Luci Sulla Scena Magazine.

[di Alex M. Salgado]

Bruno Núñez Arjona, Sergi López - Sirât

Presentato in concorso il 15 maggio 2025, Sirât, la nuova opera del regista franco-spagnolo Oliver Laxe, già acclamato per lavori come Mimosas e O que arde, si è imposto immediatamente come una deflagrazione artistica ad altissima intensità, capace di proiettare la competizione in una dimensione completamente inedita. L'impatto è stato travolgente, tanto da posizionare il film tra i più discussi e apprezzati di questa edizione del festival.

GUARDA IL TRAILER: Sirât | Trailer | Oliver Laxe

Un Viaggio ai Confini della Fede e della Disperazione

Sirât ci trascina nel cuore arido dei deserti del Marocco meridionale, dove Luis (interpretato da un intenso Sergi López), un padre consumato dal dolore, intraprende una ricerca disperata per ritrovare la figlia maggiore, Marina, scomparsa mesi prima durante un rave party. Accompagnato dal giovane figlio Esteban (Bruno Núñez Arjona), Luis si unisce a un gruppo eterogeneo di anime in fuga dalla società convenzionale – Stephy, Josh, Tonin, Jade e Bigui – diretti verso un ultimo, leggendario raduno nel deserto, l'ultima speranza per ritrovare la ragazza.

Il titolo stesso, Sirât, rivela le profonde ambizioni dell'opera: nella tradizione islamica, indica il ponte sottile come un capello e affilato come una spada sospeso sull'Inferno che conduce al Paradiso. È un percorso pericoloso, una prova spirituale trasformativa. Ma il termine ha anche un'accezione più universale di "sentiero" o "via", simile al concetto di Tao. Questa dualità semantica si riflette perfettamente nella struttura del film: una ricerca letterale che progressivamente si trasforma in un viaggio metafisico.

Un'Esperienza Cinematografica che Oltrepassa i Confini

Con Sirât, Laxe conferma e supera la sua visione di cinema contemplativo e spirituale. La sua esplorazione dell'erranza fisica, dei confini e dell'introspezione attraverso dialoghi ridotti all'essenziale e silenzi carichi di significato raggiunge qui una nuova intensità. Come ha dichiarato lo stesso regista, questo è il suo film "più politico" e "più radicale", un'affermazione pienamente giustificata.


La narrazione, che inizia come la disperata ricerca di un padre, subisce una metamorfosi straordinaria nella seconda metà. Ciò che era un road movie esistenziale si trasforma in una favola simbolica, quasi un'allucinazione collettiva. Questa svolta narrativa è destabilizzante, certamente, ma rappresenta anche il coraggio artistico di un regista che non ha paura di rompere le proprie strutture per raggiungere una dimensione più profonda.

La realizzazione tecnica è impeccabile. La fotografia in Super 16mm di Mauro Herce possiede una texture granulosa che conferisce al film una qualità allo stesso tempo brutale e lirica, perfettamente in sintonia con le tematiche aspre ma spirituali della narrazione. Ma è la colonna sonora di Kangding Ray e il sound design di Laia Casanova che creano l'esperienza più sconvolgente: i ritmi techno armati di sub-bassi non sono semplice accompagnamento, ma un vero e proprio metodo spirituale che trasporta lo spettatore in una dimensione alterata.

Le interpretazioni sono tutte di altissimo livello. Sergi López offre una presenza solida e tormentata, un'ancora al reale prima che anche il suo personaggio si dissolva nella spirale degli eventi. Il giovane Bruno Núñez Arjona è una rivelazione nel ruolo del figlio. Ma forse ancora più sorprendente è il cast di "raver" – alcuni non professionisti – che portano sullo schermo una vulnerabilità autentica e toccante.

Un'Opera Polarizzante ma Fondamentale

Sirât non è certamente un film facile. È un'esperienza sensoriale completa che richiede di essere vista sul grande schermo con un sistema audio potente. La sua natura è inevitabilmente polarizzante: l'audacia formale, la svolta narrativa inattesa e l'intensità sensoriale possono respingere alcuni spettatori quanto ne affascinano altri.

Particolarmente affascinante è la capacità di Laxe di creare un'opera che aspira a essere contemporaneamente radicale e accessibile. Il regista ha parlato di voler realizzare "arte accessibile con un ritmo tribale", e in effetti Sirât contiene echi di cinema popolare come Mad Max e Dune pur mantenendo una profondità spirituale e filosofica tipica del cinema d'autore più esigente. La standing ovation alla proiezione di Cannes testimonia come questa ambizione abbia trovato riscontro almeno nel pubblico festivaliero. Resta da vedere come reagirà un pubblico più ampio quando il film uscirà nelle sale (a giugno in Spagna e a settembre in Francia).

Nonostante qualche perplessità sulla coerenza narrativa nella sua seconda parte, la potenza visiva, sonora e tematica di Sirât lo consacra come un'opera audace e destinata a lasciare il segno. In un panorama cinematografico spesso prevedibile, Laxe ha creato qualcosa di genuinamente nuovo: un'odissea mistica che è anche una deflagrazione sensoriale, un film che parla di perdita e ricerca ma anche di fede e trascendenza in un mondo sull'orlo del collasso. È un film che non si limita a essere visto, ma si vive, e continua a riverberare nella mente e nel corpo molto dopo la fine della proiezione. Se il cinema ha ancora il potere di trasformarci, Sirât ne è la prova più luminosa e disturbante. Un viaggio da intraprendere, per perdersi e, forse, ritrovarsi.

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