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Trump e Cultura 2025: Cosa Rischia il Settore Tra Tariffe e Tagli? L'Analisi di Luce Sulla Scena Magazine

Cultura USA sotto Trump: analisi dei rischi futuri secondo gli esperti. Impatto di dazi, tagli e politiche su arte e scambi. Fonti incluse.

[di Massimo Righetti] 

Tra timori per i dazi, restrizioni migratorie e tagli ai fondi, e la flebile speranza di un'economia "business-friendly", il mondo della cultura si interroga sul futuro.

Il mondo della cultura naviga in acque agitate sotto l'attuale amministrazione Trump, e gli analisti del settore scrutano l'orizzonte con un misto di apprensione e, forse, una punta di quell'ottimismo che non muore mai, nemmeno di fronte a un uragano annunciato. Sebbene la presidenza sia in corso e i tanto discussi dazi sulle importazioni (che oscillano tra il 10% e il 20%) siano ormai una realtà con cui fare i conti, le preoccupazioni maggiori riguardano ciò che potrebbe ancora accadere.   

Gli esperti del settore culturale, con un sospiro collettivo che ormai accompagna ogni bollettino politico, esprimono timori crescenti che le politiche attuali e quelle future dell'amministrazione Trump possano lasciare cicatrici profonde e durature sul panorama artistico e intellettuale. Non si tratta più solo di ipotesi remote, ma di realtà con cui fare i conti e di previsioni che dipingono scenari complessi. Le tariffe doganali, già operative e con la minaccia sempreverde di oscillare tra il 10% e il 20% su tutte le importazioni, continuano a suonare come un campanello d'allarme per un mercato dell'arte intrinsecamente globale, rischiando di strozzare gli scambi e gonfiare i costi.   

Ma le preoccupazioni non si fermano ai dazi. C'è un'ansia palpabile riguardo alle politiche migratorie, percepite come sempre più restrittive. Gli analisti sottolineano come queste non colpiscano solo genericamente, ma prendano di mira specificamente figure chiave per la vitalità culturale, come studenti e artisti internazionali, revocando visti e rendendo più arduo quel flusso di talento e idee che da sempre arricchisce il tessuto creativo. È come voler prosciugare una sorgente sperando che il fiume continui a scorrere magicamente.   

E poi c'è il capitolo dei finanziamenti, un nervo scoperto perenne. Le previsioni non sono rosee: si temono ulteriori, possibili tagli a settori cruciali come la ricerca scientifica, l'istruzione e la tutela ambientale – tutti ambiti che, direttamente o indirettamente, nutrono e sostengono anche le istituzioni e le iniziative culturali. La preoccupazione si estende fino a pilastri come lo Smithsonian, il cui futuro appare meno certo sotto la pressione di potenziali ridimensionamenti. Aggiungiamo a questo quadro già poco allegro la potenziale applicazione estesa della cosiddetta "Schedule F", uno strumento burocratico che, secondo gli esperti, faciliterebbe il licenziamento di dipendenti federali, iniettando una dose di precarietà potenzialmente letale per la stabilità e l'indipendenza di molte istituzioni. Insomma, un cocktail di misure che, messe insieme, fanno temere un futuro di isolamento culturale, risorse prosciugate e una libertà accademica e artistica sotto costante minaccia.  

Esiste, tuttavia, una corrente di pensiero minoritaria che intravede un possibile lato positivo, o quantomeno un'ancora di salvezza. Un approccio governativo focalizzato sul "business" potrebbe, quasi per inerzia, favorire il mercato dell'arte e incentivare la filantropia privata. È una scommessa audace, che contrappone la speranza di benefici economici indiretti alla realtà tangibile delle politiche restrittive già in atto e di quelle temute per il futuro.   

E così, mentre l'amministrazione Trump continua a dettare l'agenda, il settore culturale si ritrova a fare i conti con un presente già complesso e un futuro carico di incognite, quasi un campo minato. Dazi che pesano, fondi che si assottigliano, confini meno permeabili ai talenti – rischi appena bilanciati da quella speranza sottile, quasi un sussurro nel vento, che un'economia orientata al business possa, chissà come, portare benefici indiretti al mercato e alla filantropia. La vera sfida, dunque, per artisti, istituzioni e tutti gli operatori culturali non è semplicemente navigare a vista in questa nebbia densa, ma farlo con la tenacia di chi sa che le onde potrebbero alzarsi ancora. Si tratta di dimostrare una resilienza quasi acrobatica, trovando forse modi sempre più astuti e creativi non solo per far sentire la propria voce, ma per proteggere gli spazi stessi della creazione e della critica, mantenendo viva la fiamma anche quando soffia un vento decisamente gelido.

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