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Una Battaglia Dopo l'Altra: Capolavoro per la Critica, Disastro al Botteghino?

'Una battaglia dopo l'altra' di Paul Thomas Anderson. Dalle lodi della critica al flop al botteghino: perché il film con DiCaprio è un caso.

Il nuovo film di Paul Thomas Anderson con Leonardo DiCaprio divide il pubblico e infiamma il dibattito. Ecco perché è l'opera più importante e controversa dell'anno.

[di Alex M. Salgado]

Leonardo di Caprio

Il 25 settembre non è approdato nelle sale italiane un semplice film, ma un vero e proprio evento sismico: Una battaglia dopo l'altra, la decima opera di Paul Thomas Anderson, attesa con trepidazione febbrile. Un'epopea di quasi tre ore che raduna un cast stellare: Leonardo DiCaprio nei panni di un rivoluzionario in pensione e paranoico, la sorprendente Chase Infiniti nel ruolo della figlia esperta di arti marziali, un glaciale Sean Penn vestito da nemico reazionario. Libero adattamento del romanzo Vineland di Thomas Pynchon, la pellicola ha immediatamente innescato una tempesta, generando un cortocircuito quasi inedito tra il verdetto della critica e la risposta del mercato.

GUARDA IL TRAILER: youtube.com/watch?reload=9&v=OD0Hrp3-J2c

Da una parte, il mondo della critica internazionale ha esaurito gli aggettivi, incoronando il film con un'unanimità che sfiora il prodigioso. Alex Godfrey di Empire Magazine non ha usato mezzi termini, definendolo "un classico istantaneo e indiscutibile", un sentimento condiviso da innumerevoli colleghi. L. Per Justin Chang del TheNew Yorker, si tratta di "un film americano grande quanto qualsiasi altro abbia visto quest'anno", mentre Matt Neglia di Next Best Picture si spinge oltre, affermando che "in una carriera di molte opere maestre, questo potrebbe essere il film più vitale di Paul Thomas Anderson". Anche in Italia, Federico Gironi di ComingSoon.it lo celebra come "l'ennesimo, grandissimo film" del regista.

L'elogio si concentra sulla maestria assoluta di Anderson. La sua regia è un torrente di energia pura che, nonostante i 161 minuti di durata, possiede un ritmo implacabile. L'inseguimento finale, con le sue riprese ipnotiche tra le colline, è già considerato un frammento di storia del cinema, un momento visionario che toglie il respiro. La performance di DiCaprio è stata descritta da Jake Coyle dell'Associated Press come "la più Lebowskiana" della sua carriera, un ritratto tragicomico di un uomo logoro che, secondo Courtney Howard di Fresh Fiction, "centra l'umorismo e il cuore, costruendo complessità genitoriali nel suo personaggio tenero e multistrato".

Sean Penn
Il cuore pulsante del film, tuttavia, risiede nella sua urgenza politica. Richard Lawson di The Hollywood Reporter osserva come Anderson appaia "adirato e inorridito dal momento americano attuale", forgiando una visione insieme spaventosa e galvanizzante che affronta senza mediazioni razzismo, xenofobia e autoritarismo. È un'opera che, nelle parole di Manohla Dargis del New York Times, si percepisce "scioccantemente urgente, un atto di resistenza che utilizza la frammentazione della propria struttura narrativa per riflettere il tessuto fratturato dell'America contemporanea".

Eppure, di fronte a questo plebiscito della critica, si erge un paradosso che definisce non solo il film, ma l'epoca in cui viviamo. Benché sia stato giudicato uno dei lavori più accessibili e godibili per il pubblico di Anderson, la pellicola arranca al botteghino internazionale. Con un budget esorbitante di quasi 140 milioni di dollari, le previsioni d'incasso appaiono deludenti, rendendo pressoché impossibile un profitto. Il divario si allarga ulteriormente se si considera il giudizio di una parte consistente del pubblico. Su piattaforme come MyMovies.it, a fronte di una media critica stellare (4,59/5), quella del pubblico si attesta su un modesto 3,3, con alcuni commenti che lo bollano come un "disastro", "terribile" e "vergognoso", stigmatizzando dialoghi "insopportabili" e un DiCaprio eccessivamente sopra le righe.

Locandina Ufficiale
Qui si cela la vera battaglia del film, quella combattuta al di fuori dello schermo. La sua natura apertamente politica, il suo configurarsi come una "chiamata all'azione", sembra costituire la radice di questa frattura. Come ha sintetizzato, senza giri di parole, un utente su Reddit: "nessuno, a parte un numero molto piccolo di persone, vuole la politica e i messaggi che questo film ha".

Una battaglia dopo l'altra diventa così un capolavoro scomodo, un banco di prova culturale per il pubblico mainstream. È un'opera che esige di essere guardata, discussa e persino contestata. La sua eredità non sarà determinata unicamente dalla sua indiscutibile grandezza artistica, ma anche dal suo destino commerciale. Sarà ricordato come il "film che definisce una generazione", secondo l'auspicio di David Gonzalez di The Cinematic Reel, o come un magnifico, coraggioso fallimento che segna la crescente distanza tra il cinema d'autore ambizioso e il mercato globale? Forse, la sua vera vittoria risiede proprio in questa domanda, nella capacità di trasformare una visione cinematografica in un referendum culturale sulla nostra disponibilità a confrontarci con il caos del presente.

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