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Mangia! all'Azzurro Scipioni: il miracolo corsaro di Anna Piscopo

Evento per "Mangia!" di Anna Piscopo all'Azzurro Scipioni. La regista racconta il suo film 'corsaro' e il suo percorso spirituale

La regista e l’attrice Roberta Amirante svelano i retroscena di un esordio “corsaro”, un’avventura produttiva segnata dall’incontro con il compianto produttore Galliano Juso.

[di Alex M. Salgado]

Mangia! - Scena del film

Una sala gremita, un'energia palpabile e un applauso che ha riempito a lungo lo storico cinema Azzurro Scipioni di Roma. La serata del 10 ottobre dedicata a Mangia! ha confermato il piccolo miracolo cinematografico orchestrato da Anna Piscopo. Insieme alla regista, l'attrice Roberta Amirante ha accompagnato il pubblico in un viaggio dietro le quinte di un'opera che definire "corsara" appare quasi un eufemismo. Ciò che è emerso è stata una testimonianza diretta di passione incandescente, resilienza ostinata e di un approccio al cinema che affonda le radici nella vita stessa.

Anna Piscopo con Roberta Almirante e Massimo Righetti
L'incontro ha immediatamente rivelato l'unicità di un set che Roberta Amirante ha descritto come un'esperienza umana e professionale irripetibile. "Era un set non convenzionale, senza regole, ma funzionava", ha raccontato, evocando un continuo tour de force dove il caos si trasfigurava in creatività. "Tutti erano super felici di fare questa cosa". Ma al di là dell'avventura produttiva, l'attrice ha messo a fuoco il nucleo etico del film, tessendo l'elogio del coraggio della sua regista: "Oggi è difficile parlare di cose scomode, vedere i margini, che cosa succede nelle periferie. Conoscere persone che hanno coraggio oggi è l'esperienza umana più bella che mi sono portata".

Anna Piscopo ha poi guidato il pubblico attraverso la genesi quasi mitologica del film, un processo che lei stessa ha definito un percorso spirituale. La regista ha parlato apertamente della sua fede: "Io sono buddista, quindi non credo nelle coincidenze". Questa visione ha permeato ogni aspetto della lavorazione, a partire dalla chiamata che ha innescato tutto. "Una mattina era lunedì, mi chiama Galliano Juso e mi dice: 'Venerdì parti a Catania a girare il tuo film'", ha narrato Piscopo, rievocando l'incredibile ultimatum del suo produttore.

Galliano Juso
Proprio il ricordo di Galliano Juso — figura leggendaria del cinema italiano, produttore di Il Monnezza e del culto Viva la foca celebrato da Tarantino — ha attraversato la serata con affetto e commozione. Piscopo lo ha descritto come un visionario capace di intuizioni folgoranti e di creare enormi difficoltà in egual misura, un mentore che "sapeva veramente leggerti dentro e tirare fuori la tua personalità, la tua voce". Un rapporto complesso, culminato in un evento tragico e carico di simbolismo: "Lui è morto il giorno in cui noi abbiamo finito di montare. Avevamo appuntamento il lunedì per vedere il montaggio finale, e lui il giorno prima non c'era più". Un'eredità pesante e preziosa, per un'avventura che, come ha ammesso la regista, "per fortuna, ma anche purtroppo, non potrò più rivivere".

Questa dialettica tra caso e destino è diventata la cifra di una produzione vissuta allo stato brado. Piscopo ha raccontato l'aneddoto del primo attore trovato, un uomo conosciuto per caso sul treno per Catania. "Lo chiamo, mi invita a casa sua, mi apre la porta ed era travestito", ha rivelato tra lo stupore della sala. Da quel momento, è diventata una sorta di pifferaio magico per una "band di disgraziati" che la seguiva ovunque, aiutandola persino a bloccare le strade per girare senza permessi. Lo street casting si è trasformato in un'operazione di ricerca antropologica: dalla strada, dai bar, dalle periferie della città etnea, Piscopo ha raccolto volti e storie autentiche, costruendo un cast che fosse specchio fedele dei margini urbani.

Catania stessa è emersa come protagonista silenziosa del racconto. La regista ha confessato di essersi innamorata della città siciliana, descrivendola come una città solidale nella sua stranezza, nella sua follia. Una solidarietà che si è tradotta in aiuto concreto: location gratuite, cittadini complici, un'accoglienza che Piscopo non aveva mai sperimentato altrove. "Io faccio teatro da tanti anni, giro tanto, ma una città solidale come Catania, io non l'ho mai conosciuta".

Ma ciò che ha reso Mangia! un'opera davvero singolare è stata la libertà interiore con cui Anna Piscopo ha affrontato il set. Consapevole della fragilità del progetto, della produzione precaria, dell'incertezza dell'esito, la regista ha scelto di abbandonare l'ansia del risultato per immergersi nel puro piacere del fare. "Io pensavo dentro di me: ma questo film manco uscirà. Il successo per me era farlo, per cui mi sono veramente divertita. È stato proprio un momento di illuminazione". Questa lucidità, questa centratura — per usare un termine caro alla pratica buddista — le ha permesso di affrontare un'impresa quasi impossibile con leggerezza e precisione al tempo stesso.

Anna Piscopo
Il montaggio, durato sei mesi e condotto in condizioni di estrema precarietà emotiva, ha rappresentato la fase più ardua. Piscopo aveva già concepito il film "così frantumato, così alternato, così sclerotico, sempre per ricalcare questo concetto della bulimia" — metafora centrale dell'opera, intesa non solo come patologia ma come condizione esistenziale, "un bisogno continuo che non si soddisfa mai", indotto dalla società contemporanea.

La serata all'Azzurro Scipioni ha dimostrato che Mangia! è molto più di un film. È un atto di fede nel cinema, nella vita e nella capacità dell'arte di creare armonia dal caos. Un'opera che ha trovato pubblico e consenso non grazie a strategie di marketing, ma attraverso una distribuzione altrettanto corsara, che ne ha fatto uno dei film indipendenti di maggior successo dell'anno. Un miracolo piccolo e ostinato, che continua a nutrirsi dell'energia di chi ha creduto nell'impossibile


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