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Dopo l'allarme legale, Warner Bros. condanna il boicottaggio. La protesta di Phoenix e Stone ora è un rischio per gli Studios

Warner Bros. condanna il boicottaggio degli attori. Dopo l'allarme legale sull'Equality Act, la protesta diventa un rischio finanziario per gli Studio

La presa di posizione della major segue la diffida per violazione dell'Equality Act. L'attivismo delle star si trasforma in una "potenziale passività legale" per le produzioni.

[di Redazione]

La controversia che scuote Hollywood si intensifica. Dopo il "terremoto legale" che, come avevamo riportato lo scorso 14 ottobre, ha trasformato la protesta contro le istituzioni cinematografiche israeliane in un potenziale disastro finanziario e assicurativo, ora è Warner Bros. a prendere una posizione ufficiale e durissima. Seguendo l'esempio di Paramount, la major guidata da David Zaslav ha condannato pubblicamente il boicottaggio sostenuto da oltre 4.000 figure del settore, tra cui Joaquin Phoenix, Emma Stone e Mark Ruffalo.

LEGGI L'ARTICOLO DEL 14 OTTOBRE: Boicottaggio Israele, Hollywood trema: una diffida legale minaccia Studios e Star

La mossa di Warner Bros. non è un semplice comunicato stampa, ma una risposta diretta al "tangibile rischio aziendale" che avevamo analizzato. Ricordiamo infatti che l'organizzazione U.K. Lawyers for Israel ha diffidato colossi come Netflix, Disney e BBC, sostenendo che il boicottaggio viola palesemente l'Equality Act 2010 del Regno Unito. La condanna di Warner Bros. ricalca questa linea legale: definendo la protesta una "discriminazione basata su razza, religione, origine nazionale o ascendenza", lo studio afferma che il boicottaggio viola le proprie policy e che allineerà le sue pratiche commerciali ai requisiti delle policy e della legge.

Questa dichiarazione rafforza la nostra precedente analisi: la questione si è spostata dal piano etico a quello legale. La violazione dell'Equality Act espone le produzioni a un alto rischio di contenzioso, minacciando di invalidare le costosissime polizze assicurative e, soprattutto, di bloccare l'accesso ai finanziamenti pubblici, come quelli del BFI.

Se da un lato l'appello di Film Workers for Palestine mira a colpire chi è implicato in genocidio e apartheid, dall'altro l'Associazione dei produttori israeliani aveva già replicato con una frase memorabile: "State colpendo le persone sbagliate", sottolineando come i loro artisti siano spesso le voci più critiche verso le stesse politiche israeliane.

Oggi, con la presa di posizione di Warner Bros., il cerchio si chiude. Gli studios non stanno solo scegliendo una parte in un dibattito morale, ma stanno attivamente mitigando un rischio legale ed economico che potrebbe avere un effetto a catena devastante. Come avevamo previsto, gli artisti firmatari rischiano ora di essere percepiti non più solo come attivisti, ma come potenziali passività legali, spingendo le altre major a seguire la linea di Warner e Paramount per pura necessità operativa.

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