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Valerio Mastandrea si racconta: Nonostante, l'amore, l'autoironia e l'eredità di Caligari

Resoconto esclusivo dell'incontro con Valerio Mastandrea per il film "Nonostante". Un'analisi profonda tra ironia, cinema e il ricordo di Caligari.

Cronaca di una serata sold-out al Cinevillage Villa Lazzaroni, dove il regista ha svelato l'anima del suo ultimo film in un dialogo intenso e disarmante con il pubblico, tra realismo magico, metafore esistenziali e la sincerità di chi usa il cinema per "fare i conti" con la vita.

[di Alex M. Salgado]

Valerio Mastandrea - Nonostante

C'è un'energia speciale che si crea quando un film riesce a toccare corde profonde e il suo autore si concede al pubblico con la stessa disarmante onestà con cui ha creato la sua opera. È accaduto ieri sera, in un'arena gremita e sold-out del Cinevillage a Villa Lazzaroni, dove Valerio Mastandrea ha accompagnato la visione del suo secondo lungometraggio da regista, Nonostante. Moderato con complicità da Massimo Righetti, l'incontro si è trasformato in un flusso di coscienza intimo e ironico, un dialogo che ha illuminato non solo la genesi del film, ma l'essenza stessa del fare cinema per Mastandrea.

Nonostante è un'opera coraggiosa, che evade dalla comfort zone del cinema italiano per avventurarsi nei territori rischiosi del realismo magico. Presentato alla 81ª Mostra di Venezia nella sezione Orizzonti, il film costruisce un universo fantastico: le proiezioni ectoplasmatiche di pazienti in coma che abitano un limbo ospedaliero, un "non-luogo" sospeso tra la vita e la morte. Per il protagonista (interpretato dallo stesso Mastandrea), questa condizione è un rifugio dalle incertezze del vivere; un equilibrio infranto dall'arrivo di "Lei" (l'intensa attrice argentina Dolores Fonzi), una forza ribelle che lo costringe a rischiare di nuovo, ad amare.

GUARDA IL TRAILER: NONOSTANTE di e con Valerio Mastandrea | Trailer Ufficiale

Cinevillage Villa Lazzaroni

Il titolo come manifesto esistenziale

È proprio da qui, dal cuore tematico del film, che è partita la conversazione. La prima curiosità, quasi d'obbligo, riguarda il titolo, che Mastandrea trasforma da avverbio a manifesto programmatico. Non è una sua invenzione, ci tiene a precisare, ma un debito letterario che è diventato la chiave di volta del racconto.

"Non si fa, non si mette un titolo così a un film. Me l'hanno fatto capire i distributori quando hanno accettato di distribuire il film," - confessa con la sua caratteristica autoironia - "Però alla fine penso che il titolo sia giusto. Il film non aveva un titolo e dopo, mentre scrivevamo la seconda stesura, mi sono imbattuto in uno scritto di Paolo Nori che citava un poeta che io non conoscevo, Angelo Maria Ripellino, che aveva avuto un trascorso ospedaliero in un sanatorio e parlava di sé e dei suoi, diciamo, colleghi di reparto come dei 'nonostante'. 'Siamo tutti dei nonostante', diceva, 'perché andiamo in giro a tenerci l'uno con l'altro per non volare via'. Praticamente in tre righe lui aveva sintetizzato quello che noi ci avevamo messo in 2 anni a fare la prima stesura."


Da quella folgorazione, i personaggi senza nome della sceneggiatura sono diventati "nonostante uno, nonostante due", una categoria dell'animo umano. 

"I nonostante sono diventati una categoria di persone e poi quando si pensa a un film, quando si scrive... io ho immaginato di parlare di quel tipo di persone là. Per me sono proprio un tipo di persone di cui penso di farne parte, spero che ne facciamo parte un po' tutti, che sono quelli che hanno magari una grande difficoltà, ma un grande potenziale nel vivere le emozioni che la vita ti mette davanti, quelle brutte ma pure quelle belle, perché a volte fanno più paura quasi di quelle brutte."
Valerio Mastandrea al Cinevillage Villa Lazzaroni

La metafora del coma: rispetto prima di tutto

Il contesto del coma, così estremo, è una scelta consapevole di allontanamento dalla realtà clinica, maturata per pudore e rispetto. Dopo un confronto con la Fondazione Santa Lucia, Mastandrea e lo sceneggiatore Enrico Audenino hanno deciso di virare decisamente sulla metafora. "Raccontare una storia d'amore tra persone in coma è chiaramente un'assurdità," ammette Mastandrea con il suo caratteristico mix di serietà e autoironia. "Ma questo è il bello del cinema: è un lavoro assurdo, meraviglioso, ma anche ridicolo, perché ti permette di provare a scrivere una storia del genere e vedere se ci riesci. Puoi osare l'impossibile.La condizione del coma, però, non doveva diventare il centro del racconto, ma rimanere sullo sfondo come metafora. 

"Per noi era una condizione simbolica, però per rispetto verso chi vive davvero questa realtà siamo andati alla Fondazione Santa Lucia a parlare con la dottoressa Formisano, che ci ha aperto un orizzonte più ampio su quello che significa occuparsi di questi pazienti. A quel punto ci siamo subito tirati indietro dall'approfondire troppo la condizione clinica dei nostri personaggi. Abbiamo scelto di renderla meno diagnostica, meno medica, lasciando che questa storia d'amore sbocciasse sullo sfondo di quel contesto. L'importante era non speculare su una condizione così delicata, non usarla come pretesto narrativo."

Il film diventa così un'allegoria sull'immobilità esistenziale, su quelle persone che "dormono" nella vita e per cui solo un incontro, un'altra persona, può rappresentare un vero risveglio. "Quella condizione là per noi era raccontare quando le persone dormono, che cosa le può svegliare veramente se non un'altra persona, un incontro e tutto il resto."

Valerio Mastandrea, Laura Morante, Lino Musella

L'arte dell'autoironia e l'ossessione del montaggio

Durante la serata, Mastandrea non si risparmia, alternando riflessioni profonde a un'ironia tagliente, spesso rivolta contro sé stesso e la "ridicola" natura del fare cinema. Parla della difficoltà di scegliere la musica da utilizzare nel film: "Mettere la musica è la cosa più complicata del mondo, almeno io sto scoprendo questa difficoltà, perché devi rinunciare anche a una tua vanità. Il fatto di ascoltare un certo tipo di musica, magari non va bene. E in un momento ne vuoi sentire di più, ma non puoi perché dopo un minuto ne parte un'altra, quindi è come vivere una continua castrazione, diciamo, emotiva."

La sua perenne insoddisfazione emerge come un motore creativo che lo spinge a migliorarsi: "Stasera stavo rivedendo gli ultimi 20 minuti, avrei continuato a tagliare 'sto film finché..." scherza, ipotizzando un'opera finale composta da "solo il titolo, la frase di Ripellino sotto, finito."

Il cinema come terapia e confessionale

Questo sguardo che mescola poesia e assurdità emerge magnificamente nell'aneddoto sulle scene di volo, girate in modo artigianale al Laurentino 38. 

"Vabbè, vi tralascio la paura, l'inutilità di stare appeso là e di 'Ma perché sto facendo una cosa del genere? Magari la taglio!', Cose assurde così. La sera alle 7:00 mi arriva un messaggio di un mio amico, un video dove c'è una finestra, una macchina del caffè e io che passo davanti la finestra. Questo amico mio non abita là... Un suo amico aveva fatto la notte al lavoro. Tornato a casa, alle 10:30 si stava preparando un caffè e gli ha scritto 'ho visto Andrea che volava fuori dalla finestra'. Questa è la cosa assurda del cinema."

Ma dietro l'ironia c'è una profonda sincerità, la confessione di un autore che usa il cinema come strumento di autoanalisi. Quando uno spettatore gli chiede se usi la macchina da presa come un lettino da analista, Mastandrea ammette senza riserve la natura quasi terapeutica del suo lavoro: 

"È un mestiere che dopo 30 anni posso dire mi ha aiutato tantissimo come persona. Mi ha aiutato a mettere delle cose dove dovevo metterle. Probabilmente anche fare quest'altro lavoro da regista mi aiuta a chiudere cerchi magari più grandi o aprirne altri. Insomma, lo uso sicuramente per parlare anche di me."

Con una sincerità disarmante, Mastandrea confessa di aver trasferito episodi autobiografici direttamente nel film: "Ci sono delle scene tra me e lei che mi sono capitate identiche nella vita reale. Soprattutto quella del dialogo incredulo sull'innamoramento: quando il protagonista dice 'Mi sa che mi sono innamorato', lei risponde "anch'io" e il protagonista replica 'Come? Com'è possibile?'. Nella vita mi aspettavo una reazione diversa, tipo 'Ma come è possibile, sei una persona normale!'. Invece mi sono sentito dire: 'Che tu ti innamori di me è normale, che io mi innamori di te...' Ecco, quelle parole sono state esattamente quelle. Le ho trascritte pari pari nel copione."

E conclude con una riflessione che suona come un manifesto: 

"Il cinema per me è questo: un modo per elaborare la vita, per darle una forma. Uso questo mestiere per raccontare me stesso, per capire quello che mi succede."

L'eredità di Caligari: il coraggio di rischiare

Il finale dell'incontro tocca un nervo scoperto e fondamentale del suo percorso: il rapporto con Claudio Caligari. A dieci anni dalla sua morte e dall'uscita di Non essere cattivo, Mastandrea, che di quel film fu produttore e angelo custode, parla del lavoro con il regista come di un'esperienza spartiacque.

Massimo Righetti, Leandro Pesci, Valerio Mastandrea

"Lavorare con Claudio è stato un privilegio, cioè aver visto lavorare uno, aver visto amare il cinema uno così, uno che era fatto solo di quello. È stata un'esperienza unica nel bene e nel male che sappiamo che non ricapiterà, perché la magia di quella roba lì sono cose che capitano una volta nella vita. Io il coraggio di fare il primo film penso l'ho preso dopo aver fatto Non essere cattivo, dopo essere stato lì e essermi preso delle responsabilità enormi anche in fase di montaggio, in fase di costruzione del film."

È un debito non solo artistico, ma umano, che ha influenzato un'intera generazione di attori e filmmaker: "Luca Marinelli e Alessandro Borghi sono due che hanno, credo, dentro di loro preso quel film e quell'esperienza come pistola che spara alla partenza, quindi sono certo si stiano portando dentro un sacco di cose."

Con una malinconia che non nasconde, aggiunge: "Forse se lui fosse ancora tra noi io non avrei mai fatto il regista. Può essere pure questo, chi lo sa. Lo dico senza rimpianti."

La forza dei "nonostante"

E così, in un cerchio perfetto, la serata si chiude tornando al punto di partenza: al coraggio di rischiare, di fare un cinema personale e fragile, di essere, appunto, "nonostante". Un cinema che, come il suo autore, non ha paura di mettersi a nudo, trovando nell'ironia la giusta distanza per raccontare il dramma e nell'amore l'unica, possibile, via di fuga dall'immobilità.

Come ha detto una spettatrice nella serata, "sono tornata sulla dimensione che tu racconti, in questa dimensione surreale in cui le emozioni sono talmente forti e potenti, nonostante tutto". È forse questa la forza del cinema di Mastandrea: quella di trasformare la fragilità in potenza poetica, l'immobilità in movimento dell'anima, il "nonostante" in una dichiarazione d'amore alla vita.

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