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Roger Waters, Anatomia di un Trionfo: This Is Not a Drill e il Testamento del Profeta Controverso

L'album live di Roger Waters, This Is Not a Drill, conquista l'Italia. Un'analisi del successo e una recensione del suo testamento politico e musicale

Dall'inaspettato primo posto nelle classifiche italiane a un'analisi senza filtri del suo ultimo, potente e divisivo capolavoro. Come ha fatto e, soprattutto, cosa ci dice.

[di Sean Dags]

Roger Waters - Live from Prague

Nell'estate del 2025, mentre il mercato musicale italiano sembrava danzare al ritmo prevedibile dello streaming e delle hit estive, un fantasma è risorto dalle ceneri del rock per scuotere le fondamenta stesse delle classifiche. Un album live—testamento di un tour definito "d'addio" e registrato da un'icona che ha superato gli ottant'anni—ha conquistato la vetta della classifica di vendita dei formati fisici con la ferocia di chi sa di non avere più tempo da perdere. This Is Not a Drill -Live from Prague di Roger Waters non è stato un semplice disco al primo posto; è stato un evento sismico, un manifesto artistico inciso nel vinile, un prisma attraverso cui osservare le insanabili contraddizioni di una delle figure più complesse e indomabili della musica moderna.

Il trionfo, certificato ufficialmente dai dati FIMI/GfK dell'8 agosto 2025, ha qualcosa di miracolosamente anacronistico: Waters ha detronizzato colossi del pop mainstream come le compilation di Radio Italia e Battiti Live, prodotti tipicamente dominanti nel periodo estivo, armato soltanto della sua rabbia ottantenne e di quattro dischi di vinile pesante. Come una lama che taglia attraverso il rumore digitale del presente, questo successo rivela la persistenza di un'altra economia musicale, quella delle anime fedeli e degli oggetti sacri, dove il rituale dell'ascolto fisico resiste come ultimo baluardo contro l'effimero.

Il primo pilastro di questa resurrezione risiede nel vinile, che nel 2025 rappresenta il 63% dell'intero mercato fisico italiano, attraendo tanto i collezionisti veterani quanto le nuove generazioni in cerca di un'esperienza d'ascolto tangibile, quasi eucaristica. Il lussuoso cofanetto da quattro LP di Waters, affiancato da CD, DVD e Blu-Ray, era un'offerta sacramentale perfettamente calibrata per questa nicchia devota e economicamente potente. Il secondo pilastro è la fanbase stessa: una comunità multigenerazionale che attribuisce al disco fisico un valore che trascende l'uso, trasformandolo in reliquia e talismano. Ma è il terzo pilastro a rivelare il genio strategico dell'operazione: l'evento cinematografico globale ThisIs Not A Drill: Live From Prague - The Movie, proiettato nelle sale poche settimane prima dell'uscita dell'album, ha funzionato come un'immersiva anticipazione, trasformando l'acquisto del disco da semplice transazione commerciale a acquisizione del souvenir di un evento condiviso, il ricordo fisico di un'esperienza collettiva e irripetibile.

Roger Waters This Is Not A Drill: Live From Prague - The Movie (Official Trailer)

Roger Waters - Live from Prague
Ma è quando le luci si spengono e inizia il vero spettacolo che emerge la natura profondamente sovversiva di quest'opera. Waters non si limita a salire sul palco; vi irrompe come un profeta armato, annunciando sin dal primo istante le regole di un nuovo gioco: "Se sei una di quelle persone che amano i Pink Floyd ma non sopportano le posizioni politiche di Roger, faresti meglio ad andartene al bar subito". Questo non è un saluto, è un ultimatum. Non una provocazione, ma una dichiarazione di guerra estetica. L'arena cessa di essere un luogo di intrattenimento per trasformarsi in camera di risonanza ideologica, dove l'arte diventa inseparabile dalla politica e il pubblico è chiamato non ad assistere passivamente, ma a schierarsi.

Quello che segue è un assalto totale ai sensi, un bombardamento sincronizzato di suono, immagine e significato che non concede tregua né rifugio. I giganteschi schermi a LED proiettano un flusso incessante di accuse e rivelazioni: presidenti americani, da Reagan a Biden, marchiati come criminali di guerra con tanto di conteggio delle vittime civili; appelli per i diritti delle persone transgender; omaggi alle popolazioni indigene; sostegno a Julian Assange. È un tribunale del popolo travestito da concerto rock, dove Waters si erge simultaneamente come giudice, testimone e carnefice di un'intera civiltà che considera corrotta fino al midollo.

This is not a Drill - Live from Prague
La musica stessa diventa strumento di questa insurrezione estetica. La scelta più audace—e forse più crudele verso i nostalgici—è l'apertura con una versione completamente decostruita di
Comfortably Numb, spogliata dei suoi catartici e iconici assoli di chitarra, quelli che per decenni hanno rappresentato l'apice emotivo dell'esperienza Pink Floyd. Presentata in veste funerea e distopica, la canzone è ridotta al suo scheletro testuale, costringe l'ascoltatore a confrontarsi con la nuda e desolata essenza delle parole: il torpore, l'alienazione, il "comfortably numb" come condizione esistenziale dell'uomo contemporaneo. È un gesto di riappropriazione brutale ma necessario, un atto artistico profondamente anti-floydiano che segna la separazione finale dall'eredità del rock da stadio per riaffermare la primazia del concept sul piacere, del messaggio sulla nostalgia.

La band che accompagna Waters in questo viaggio è tecnicamente irreprensibile—musicisti come Jonathan Wilson, Dave Kilminster e Jon Carin dimostrano una precisione e un coinvolgimento che servono il materiale con devozione monacale—ma rimane volutamente al servizio del verbo, veicolo per i suoi testi piuttosto che fucina di virtuosismi individuali. È una scelta che riflette la filosofia dell'intero progetto: qui non si viene per essere stupiti dalla tecnica, ma convertiti dalla parola.

This is not a Drill - Live from Prague
Al centro narrativo e concettuale dello spettacolo pulsa The Bar, nuova ballad articolata in due parti che Waters stesso descrive come "metafora di un luogo dove puoi scambiare il tuo amore per il prossimo senza paura". È qui, però, che si manifesta il cortocircuito più rivelatore dell'intera operazione: questa canzone, concepita come l'anima umanista dell'opera, il veicolo di quella connessione universale che Waters predica, sembra musicalmente scialba, un calo di tensione che non ha fatto presa sul pubblico dal vivo. Il paradosso è devastante nella sua chiarezza: il luogo immaginario dell'incontro e del dialogo fallisce nel suo scopo primario di connettere, rivelando la frizione irrisolta tra l'ideale del "bar" come spazio di accoglienza e la realtà di uno spettacolo che esordisce invitando esplicitamente gli oppositori ad andarsene. È la contraddizione più profonda e dolorosa di Waters: predicare l'unità attraverso la divisione, invocare l'amore attraverso l'odio, costruire ponti mentre innalza muri.

Eppure, tra un proclama politico e l'altro, affiorano momenti di cruda e disarmante vulnerabilità che rivelano l'uomo dietro il profeta. This Is Not a Drill è, forse più di ogni altro spettacolo di Waters, un memoir musicale, dove il dolore privato filtra attraverso la rabbia pubblica come luce attraverso vetri colorati. Gli omaggi al padre morto in guerra quando Roger aveva solo cinque mesi, la recente perdita del fratello John, il tributo struggente all'amico perduto Syd Barrett—co-fondatore dei Pink Floyd la cui assenza infesta da sempre l'arte watersiana—trasformano lo spettacolo in una seduta spiritica collettiva, dove i fantasmi del passato vengono evocati per giustificare le battaglie del presente.

Roger Waters - "Wish You Were Here" - from This Is Not A Drill: Live from Prague

Presentato con la sua tipica ironia sardonica come "primo tour d'addio", This Is Not a Drill assume i contorni di un testamento artistico definitivo, la summa di una vita e di una carriera costruite all'ombra di muri veri e metaforici. È l'opera di un uomo che ha fatto della propria storia personale il carburante di una visione politica, che ha trasformato i propri traumi in manifesti universali, che si è eretto a voce morale di un'epoca che forse non l'ha mai veramente ascoltato.

Ma è proprio qui, nell'oscillazione perpetua tra vulnerabilità e intransigenza, tra dolore privato e rabbia pubblica, che risiede il mistero ultimo di Roger Waters e del suo capolavoro controverso. È il coraggioso profeta che dice la verità al potere, la voce che grida nel deserto della compiacenza contemporanea? O è l'architetto di un monumento al proprio ego, dove la versione watersiana della verità è l'unica ammessa e il pubblico è chiamato non a pensare ma ad acconsentire? Forse la risposta più onesta è che è entrambe le cose simultaneamente, e che questo paradosso irrisolto costituisce non il difetto fatale dell'opera, ma la sua essenza più autentica e perturbante.

This Is Not a Drill si conclude, non a caso, con Outside the Wall, e in questa scelta finale si rivela il senso ultimo dell'intera operazione. Waters, l'uomo che ha dedicato la vita a costruire e abbattere muri, consegna il suo testamento da fuori, da quella terra di nessuno dove risiedono i profeti scomodi e i visionari incompresi. È un commiato che suona come una dichiarazione di guerra, un addio che è in realtà un nuovo inizio, l'ultimo grido di un artista che ha scelto di rimanere per sempre, ostinatamente, magnificamente, fuori dal muro. 

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