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Intelligenza Artificiale e Sceneggiatura: Rivoluzione Creativa o Abisso Etico? Il Dilemma che Scuote il Cinema

Intelligenza Artificiale e Sceneggiatura: Rivoluzione Creativa o Abisso Etico? Il Dilemma che Scuote il Cinema

Dalla controversia italiana "Cort-IA" alle trincee di Hollywood, l'IA sfida il cuore della narrazione cinematografica. Esploriamo le ragioni, i timori e il futuro incerto di un'arte sospesa tra uomo e macchina.

[di Alessandro Massimo]

La recente controversia italiana, accesa dal concorso "Cort-IA", ha portato alla ribalta nazionale un dilemma che da tempo agita le fondamenta dell'industria cinematografica globale. Promossa da SophIA – un laboratorio specificamente dedicato all'applicazione dell'intelligenza artificiale nel settore cine-audiovisivo e non una casa di produzione nel senso classico del termine – l'iniziativa mirava a esplorare le potenzialità della "co-creazione" tra sceneggiatori umani e chatbot. La risposta delle associazioni di categoria, Writers Guild Italia (WGI) e 100Autori, è stata però immediata e ferma. Le obiezioni sollevate sono state nette: l'inopportunità di impiegare risorse pubbliche, data la partnership con Rai Cinema Channel, a sostegno di tecnologie percepite come una minaccia al lavoro creativo; la grave accusa di sfruttamento illecito di opere preesistenti per l'addestramento degli algoritmi, un atto bollato come "appropriarsi in modo fraudolento [...] senza pagare a nessuno degli aventi diritto il conto delle loro fatiche"; il timore per l'impatto occupazionale in un settore già complesso. Proprio la natura di SophIA, come fornitore di tecnologia, ha acuito le preoccupazioni riguardo alla creazione di un "pericoloso precedente". Al netto delle legittime preoccupazioni sollevate, la questione rimane tuttavia sfaccettata: chi ha davvero ragione in questa complessa diatriba che vede contrapposte la difesa della creatività autoriale tradizionale e l'inesorabile avanzata di nuove frontiere tecnologiche?

La scintilla italiana è, in realtà, l'eco di un dibattito ben più vasto e profondo. L'irruzione sulla scena di modelli linguistici avanzati come ChatGPT ha aperto un vero e proprio vaso di Pandora, costringendo l'industria a confrontarsi con quello che è stato definito un "doppio vincolo" creativo (creative double bind). Da un lato, la fascinazione per uno strumento capace di potenziare la produttività, generare idee, superare il blocco dello scrittore, assistere nella ricerca e persino nell'analisi predittiva del mercato. Dall'altro, una paura tangibile, quasi esistenziale, di essere sostituiti da macchine addestrate proprio su quel patrimonio creativo che gli autori hanno faticosamente costruito. Questa paura ha trovato la sua massima espressione negli storici scioperi che hanno paralizzato Hollywood nel 2023, guidati dalla Writers Guild of America (WGA) e dal sindacato attori SAG-AFTRA.

Le significative mobilitazioni di Hollywood hanno indubbiamente lasciato un segno, portando alla sigla di accordi collettivi che hanno fissato alcuni necessari punti fermi, almeno per il momento. È stato stabilito che l'IA non possa fregiarsi del titolo di "autore" né essere utilizzata per sminuire il credito o il compenso dello sceneggiatore umano. Gli autori mantengono la facoltà – non l'obbligo – di avvalersi di questi nuovi strumenti, così come tutele analoghe sono state negoziate per gli attori riguardo all'uso delle loro "repliche digitali". Tuttavia, queste intese, per quanto fondamentali, sembrano più un tentativo di arginare un fiume in piena che una soluzione definitiva, una sorta di tregua armata destinata forse a essere rinegoziata alla prossima ondata di innovazione. Nel frattempo, le aule di tribunale vedono moltiplicarsi le cause sul copyright, mentre la dottrina giuridica si sforza di applicare i consolidati baluardi della autorialità umana a una realtà tecnologica che li mette alla prova, generando persino paradossi come output potenzialmente non protetti nati da training su materiale protetto.

Di fronte a questo scenario in rapida evoluzione, le ragioni per esplorare e integrare l'intelligenza artificiale si presentano con la forza delle opportunità con la promessa di una maggiore efficienza nei processi produttivi ottimizzando le risorse. La narrazione che accompagna questa spinta è quella di un "agente co-creativo", di un "partner nella stanza degli sceneggiatori", capace di instaurare una "simbiosi" potenziata con la creatività umana. Una visione indubbiamente attraente per le logiche industriali di mitigazione del rischio e massimizzazione dei risultati, ma che suggerisce anche inediti orizzonti espressivi.

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Naturalmente, questo slancio verso il futuro non è privo di voci che invitano alla prudenza, sollevando questioni che trascendono la pur importante dimensione occupazionale. Alcuni paventano il rischio di un'omologazione qualitativa, descrivendo l'output AI come potenzialmente derivativo, "schematico e meccanico", quasi un "collezionista della media" incapace di catturare l'unicità dell'intuizione umana. Emergono comprensibili dilemmi etici – dalla difficoltà nel certificare la paternità di un'opera al rischio di plagio involontario, dalla possibile eco di bias presenti nei dati alla limitata trasparenza degli algoritmi. A ciò si aggiungono le preoccupazioni economiche per una possibile compressione dei salari e una svalutazione delle competenze tradizionali. Si tratta di sfide concrete, che tuttavia potrebbero essere interpretate non tanto come barriere insormontabili, quanto come le naturali complessità di una tecnologia potente che sta ancora definendo il suo percorso e il suo rapporto con il mondo creativo.

Mentre il dibattito anima le discussioni, l'industria cinematografica hollywodiana, come un esploratore attratto da terre sconosciute, non arresta la sua marcia siglando alleanze con pionieri dell'IA e finanziando startup per lo sviluppo della catena creativa, dalla scrittura alla post-produzione video. Si avverte, è vero, una dissonanza quasi palpabile tra le dichiarazioni pubbliche, volte a rassicurare sul primato insostituibile dell'ingegno umano, e la direzione concreta degli investimenti, che sembrano puntare la prua verso quell'orizzonte di automazione e collaborazione uomo-macchina tanto discusso quanto, forse, inevitabile.

E allora la domanda, quella che tutti si fanno, chi ha ragione in questa contesa o che cerca un colpevole o una verità unica da scolpire sulla pietra, va messa da parte per questa volta. Forse, come sempre accade quando il mondo cambia pelle sotto i nostri piedi, la domanda vera non è chi ha ragione, ma come si fa a vivere in questo nuovo paesaggio, come si impara a danzare, si potrebbe dire, con questa corrente impetuosa che chiamano intelligenza artificiale, senza annegare nelle paure del passato né lanciarsi alla cieca nel gorgo del futuro. Come si trasforma questo potere che spaventa, perché ciò che non si conosce spaventa sempre, in una forza che genera, che crea, che magari ci aiuta a vedere meglio, a raccontare più a fondo, trovando non dico l'equilibrio, parola troppo statica, troppo fragile per reggere l'urto dei tempi, ma una sorta di dialogo fertile, una complicità operosa tra la nostra intelligenza, quella fatta di carne e memoria e sogni, e questa intelligenza nuova, esponenziale, fatta di silicio e algoritmi e chissà cos'altro, un mistero anche lei dopotutto. 

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Il futuro del cinema, e delle storie che da sempre ci nutrono l'anima e a volte la salvano, non è un destino già scritto nelle stelle o nei circuiti integrati, non ancora almeno. Sarà, piuttosto, il racconto che noi stessi, come collettività – creatori, industria, pubblico – decideremo di plasmare. Questo richiede un dialogo aperto e coraggioso, la capacità di definire quadri etici e legali che siano al contempo chiari e abbastanza flessibili da adattarsi a un paesaggio in continuo mutamento, e, soprattutto, una rinnovata, profonda riflessione sul valore unico – e forse in trasformazione – che attribuiamo alla creatività umana nell'epoca che si apre.

Gli accordi recenti sono solo una boa in questo mare ignoto; la navigazione è appena iniziata, carica di vertigine e meraviglia. Non è tempo di aspettare sulla riva che il futuro si sveli da sé. È tempo di prendere il timone, avere l'audacia non solo di immaginare ma di costruire quel futuro, insieme. Si tratta di esplorare senza paure le terre incognite che una collaborazione intelligente e critica tra l'uomo e il suo nuovo, potente strumento può dischiudere all'arte eterna del racconto.

Perché il futuro della narrazione non bussa alla porta: è già entrato, e ci invita a immaginarlo senza paure, armati di curiosità e intelligenza. Quella umana, certo. E, perché no, anche quella artificiale.

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